Barcellona sempre nuova
La “catalanità” non è un’invenzione del post-franchismo, come taluni vorrebbero fare credere. È una tradizione, una cultura, una fede che spinge le sue radici fino all’alba del secondo millennio. La si respira ovunque, a Barcellona e in Catalogna. È “un modo di essere al mondo”, come canta un poeta locale, riassunto forse in un’espressione intraducibile, seny catalan, che significa impegno, serietà ed equilibrio, ma anche imprenditorialità, arte e fantasia. Così sono i catalani, in mille anni ripetutamente sconfitti, ma sempre riemersi nei meandri della storia. Barcellona è il simbolo di tutto ciò, una città che nei secoli ha saputo rinnovarsi con coraggio, con rivoluzioni di pensiero che hanno avuto un riflesso anche sull’urbanistica. È la città del modernismo e delle costruzioni assolutamente inimitabili di Gaudí, la metropoli delle Olimpiadi del 1992 e dei nuovi quartieri che hanno aperto la struttura urbana al mare. È la capitale della Catalogna, terra di santi, di umanisti e di artisti, ma anche di uomini d’affari: non a caso è la più ricca regione della Spagna. Chiara Lubich è venuta anche in questa terra per portare il suo messaggio di fraternità e di dialogo. Lo ha fatto proprio nei luoghi più significativi della “catalanità”: al monastero di Montserrat, culla della cultura e della fede; nel parlamento della regione, luogo dell’autonomia; e nella chiesa di Sant Agustin, accanto alla Rambla, cuore del popolo barcellonese. Al monastero di Montserrat A est della città sorgono Manresa e Montserrat, due luoghi tra i più significativi della spiritualità universale. Manresa, la romana Minorisa, è celebre per sant’Ignazio di Loyola, che qui soggiornò undici mesi, tra il 1522 e il 1523, “pensando alle cose di Dio”, come è scritto nella sua Autobiografia. Qui ebbe “la grande illuminazione del Cardoner”, necessaria alla fondazione della Compagnia di Gesù. Da Manresa ci si inoltra in uno dei più straordinari paesaggi spagnoli, la roccia del Montserrat dalle originalissime forme granitiche che hanno ispirato artisti come Gaudí e Wagner. Nel cuore della montagna, ecco che improvviso appare il monastero benedettino, fondato nel 1025. Le sue vicende sono state contrastate, in parallelo con la storia della Catalogna. Si ricorda in particolare la distruzione del monastero ad opera delle truppe napoleoniche. L’attuale è del 1860. I monaci di Montserrat vengono considerati i primi depositari della cultura e delle tradizioni catalane. Qui Chiara è invitata a parlare dall’abate, padre Soler, a circa 300 monaci e suore, abati e badesse (venuti anche dall’Inghilterra e dall’Austria), alla presenza di mons. Vives, segretario della Conferenza episcopale della regione catalana. L’abate non a caso introduce l’ospite sottolineando come nel cuore e nell’anima dei presenti vi siano tre atteggiamenti tipici dei seguaci di Benedetto, ma anche dei catalani: accoglienza, onore e fraternità. “Comunione nella chiesa: unità tra nuovi e antichi carismi”: il titolo dell’intervento della Lubich stimola e interpella l’uditorio. Le sue parole rimandano al processo, iniziato nella Pentecoste 1998, di avvicinamento tra carismi nuovi dapprima, poi anche tra questi e i più antichi. E ripropongono quella spiritualità di comunione indicata da Giovanni Paolo II come tipica di tutta la chiesa. Una spiritualità che non può rimanere teoria, ma richiede concretezza. Non per niente l’ospite abbandona più volte il discorso scritto per raccontare “fioretti”, sottolineare un aspetto o l’altro della spiritualità dell’unità, fino a proporre nell’ultima parte del suo intervento delle “somiglianze tra i Focolari e la famiglia benedettina ” che stupiscono l’uditorio, approvate una dopo l’altra dall’abate Soler, che dirà all’uscita, ad un gruppo di presenti: “Oggi qualcosa di nuovo è cominciato”. E un giovane monaco di Montserrat: “Vorrei avere io la sua giovinezza”. Mons. Vives, infine, dichiara: “È evidente il grande carisma che anima Chiara”. E auspica che dalle parole di lei emerga “una chiamata profonda alle nostre chiese catalane”. Nel Parlament de Catalunya Dopo il centro spirituale della Catalogna, ecco la volta del centro politico, il Parlament de Catalunya, simbolo dell’autonomia catalana che, per un gioco della storia, è quello stesso edificio che nel 1714 Filippo V, che aveva soppresso l’indipendenza catalana con le sue espressioni culturali e linguistiche, aveva edificato per sé. A tal proposito, può essere interessante sapere che qui la festa più popolare è quella dell’11 settembre, che ricorda proprio la disfatta patita da Filippo V. È forse il solo popolo al mondo, quello catalano, che ha scelto il ricordo di una sconfitta come sua festa. Il Parlament de Catalunya, composto da 135 deputati, esiste dal 1977, una volta terminato il franchismo. Suo presidente è l’on. Joan Rigol i Roig, figura storica del partito democristiano Udc, che governa la regione assieme al Cdc, nel raggruppamento Ciu, coalizione di centro che a Madrid sosteneva Gonzales e ora Aznar. Appena arrivata, la Lubich viene accolta dal presidente, uomo di grande apertura, integro e temprato dalla Resistenza. La sintonia sia spirituale che politica tra i due è evidente. Egli traccia con passione e chiusure, un quadro storico-politico della regione, risponde alla proposta politica di Chiara della fraternità esponendo con vigore le sue convinzioni: “La fraternità è a tutti gli effetti una categoria politica, e la più importante; mentre la libertà si esprime in questioni di diritti e l’uguaglianza in questioni economiche, la fraternità è l’unica a coinvolgere ogni uomo, arrivando al suo cuore. È quindi l’unica tra queste categorie che risulta fondante per una politica a servizio dell’uomo”. Il discorso di Chiara Lubich sulla “fraternità in politica” interpella i politici di tutti i livelli – 150 i presenti – “perché insolito, originale, provocatorio “, come commenta un sindaco. Anche stavolta i suoi inviti ad amare il partito altrui come il proprio e la patria altrui come la propria, non possono che suscitare sorpresa o resuscitare esigenze riposte nella convulsa conflittualità politica. La conclusione del presidente Rigol, che dimostra la sua profonda ispirazione personalista, vuole spiegare come il dialogo e la condivisione siano vie privilegiate alla fraternità. Chiara Lubich incontra pure la signora Nuria De Gispert, vicepresidente della generalitat catalana per la giustizia e per l’interno, che le esprime subito la sua grande ammirazione. Accanto alla Rambla Dopo la cultura, la spiritualità e la politica, non poteva mancare l’incontro con la gente. E dove, se non alla Rambla, il viale del passeggio, la vetrina di una città sempre più cosmopolita? L’appuntamento con la sua gioventù è fissato alla chiesa Sant Agustin, incastonata nel barrio dei poveri e degli immigrati. Ed è proprio a loro che si indirizza il lavoro di accoglienza attuato dalla parrocchia, a cui collaborano i Giovani per un mondo unito. È stato il card. Carles, arcivescovo di Barcellona, ad invitare Chiara Lubich a parlare sulla vocazione ai giovani. C’era chi temeva che pochissimi rispondessero all’invito, visto che la gioventù del luogo sembrerebbe notoriamente refrattaria a ogni impegno di tipo religioso. Invece l’ampia chiesa di riempie in ogni ordine di posti – 1200 persone -, e tanti sono costretti a sedersi per terra o a rimanere in piedi. “Un crit una resposta”, un grido una risposta, è il titolo dato all’incontro, che assume rapidamente il tono del dialogo tra diverse realtà ecclesiali: tra il pubblico sono presenti numerosi giovani di ogni provenienza, ecclesiale o meno, mentre le testimonianze – che assieme a canti e rappresentazioni sceniche movimentate da giganteschi cubi colorati, scaldano l’ambiente – vengono affidate ai rappresentanti di alcuni gruppi, associazioni, movimenti. Poi, attraversando tutta la navata centrale, il cardinale e Chiara fendono la folla in festa, mentre la band canta e suona a pieno volume, tanto che “persino la statua di sant Agustin sembra tremare”, commenta qualcuno. Il card. Carles indirizza quindi ai giovani la sua convinzione: “La fede per me non è un libro, ma una persona: Gesù Cristo”. A loro Chiara Lubich non rivolge un discorso astratto, ma racconta la storia della sua vocazione. “Mi trasmette la passione del Vangelo”, dice un ragazzo con l’orecchino, dell’Azione cattolica. Una sua frase risuona nella navata come una sfida: “Ho sposato Dio, ho sposato Dio”. Una ragazza di Girona commenta: “Anch’io vorrei poterlo fare, è affascinante un’idea del genere. Chissà”. L’ospite ricorda quindi ai presenti come il miglior modo per sentire la voce di Dio sia quello di mettere in moto l’amore. L’uscita è di quelle che non si dimenticano, coperta da un applauso che non finisce più. È il segno dell’adesione alla proposta, di un’intesa immediata. “Non voglio più lasciarla. Mi sa che può regalarmi la felicità”, esclama una giovanissima. Tibidabo Prima di lasciare Barcellona e la Catalogna, non si può non salire al Tibidabo, la collina che sovrasta la città. Ai piedi della statua del Redentore, si apre una delle più belle viste che si possano ammirare sulle meraviglie “della terra e del lavoro dell’uomo “. La città si svela aperta sul mare, circoscritta dalle colline, protetta dalla montagna di Montserrat. Si capisce il perché del nome insolito del luogo, che riprende le prime parole delle tentazioni di Gesù. “Ti darò”, tibi dabo una città affascinante, un popolo forte e unito, un’arte fantasiosa, una cultura millenaria, un mare splendente Ma, più che tentazioni, quelli che si ammirano dal Tibidabo appaiono ormai doni per l’umanità. Oggi con un non so che di nuovo.