Baracca in fiamme, muore l’ennesimo bracciante in Capitanata
Fino a quando può definirsi accidentale una morte come quella di Joof Yusupha gambiano di 35 anni bruciato vivo dalle fiamme generate da un corto circuito all’interno della baraccopoli di Rignano Garganico?
Le baraccopoli che ospitano centinaia di migranti, arrivati nel foggiano per lavorare come braccianti sono il teatro di tragedie simili.
In dieci anni sono stati registrati dieci roghi in questi veri e propri ghetti in cui tantissime persone vivono, anzi sopravvivono spesso in condizioni davvero precarie, subendo il dramma dello sfruttamento. Nel nord della Puglia proprio nel 2017 persero la vita due maliani divorati dalle fiamme durante la notte.
Il corpo di Joof, bracciante giornaliero nei campi agricoli, è stato ritrovato carbonizzato per un corto circuito di una cucina malfunzionante scatenando le fiamme delle lamiere che anziché dare riparo e riposo dopo estenuanti lavorative, si tramutano in ennesimi luoghi di pericolo trattandosi di alloggi di fortuna.
Dopo l’incendio un altro bracciante, entrato nella baracca per ritirare dei documenti personali non pensava che all’interno della struttura fatiscente incendiata fosse presente il cadavere. In queste ore sono in corso le indagini dei Carabinieri insieme a Vigili del Fuoco, anche se a distanza di tempo nel Tavoliere si assiste allo stesso copione che occupa le pagine di cronaca soltanto dopo tragedie e morti. Sebbene la morte di Yusupha fosse di natura accidentale, certamente responsabilità sono da attribuire alla longeva mala gestione della piaga sociale del capolarato e del settore.
Aumenta l’indignazione per la mancanza di interventi a fronte dei 103 milioni messi a disposizione in Puglia per garantire attrezzature e risorse per superare la dimensione dei ghetti, motivo per cui la situazione è ormai insostenibile come fa sapere il segretario Cgil Puglia Pino Gesmundo: “Certifichiamo la sconfitta dell’intera classe politica e istituzionale di questa regione”.
Le condizioni disumane in cui vivono i braccianti in Capitanata, di cui migranti provenienti dall’est europeo e dall’Africa, impongono decisioni rapide e inderogabili, altrimenti periodicamente soprattutto con le temperature roventi dell’estate, continueranno a rischiare la vita nei ghetti centinaia di persone.
L’incendio di Rignano, perciò, ha limiti accidentali molto sottili. Anche se il governatore Emiliano, esprimendo il dolore per questa ennesima perdita umana, ricorda che in qualche modo in Capitanata sono state realizzate strutture per ospitare oltre 1200 migranti e percorsi di integrazione con la programmazione di interventi previsti anche nel 2023 pur non trattandosi di principale competenza regionale, l’indignazione dei sindacati, dei migranti è elevata come quella descritta dalla Lega Braccianti composta dalla comunità che alloggia a nel ghetto di Rignano, il cui leader Aboubakar Soumahoro dice:
«Chiediamo a certi corpi dello Stato e della politica, essendo stati indifferenti verso chi lotta a viso scoperto contro sfruttamento e assistenzialismo imprenditoriale sul corpo dei braccianti “neri”, di risparmiarci lacrime di coccodrillo e dichiarazioni rettoriche. Perché rappresentano l’altra faccia di questa tragedia.
Chiediamo, a nome dei familiari, che siano accertate le cause di questa ennesima tragedia ai danni dei braccianti dimenticati della filiera agroalimentare».
Ancora una volta si stanno trovando le dovute cause del decesso del povero bracciante, sperando che le promesse per ghettizzare meno o offrire maggiori garanzie ai lavoratori e investire i fondi previsti non restino inchiostro che svanisce fino al prossimo morto nelle baraccopoli che a questo punto, dopo anni, rischia di essere “normalità”.