Bangkok bloccata dai dimostranti
Non è il titolo di un film, ma la realtà; è quanto sta accandendo in queste ore nella capitale thailandese: "Shut down" è lo slogan dell’opposizione che ha invaso di nuovo le strade di Bangkok. È il blocco del traffico, la chiusura delle scuole, il boicottaggio del lavoro da parte degli impiegati governativi e altre iniziative che potremmo definire "pesanti" per i residenti di Bangkok, rivolte a fermare completamente una città di circa 14 milioni di persone.
Sono 15 i punti centrali della città dove il traffico è stato paralizzato e sono stati allestiti palchi e palchetti e dove tantissima gente si è ritrovata per urlare, fischiare, sbandierare drappelli e bandiere thailandesi di ogni misura e tipo. In realtà il disagio è diffuso in tutta la capitale: dalla radio si apprendono notizie che parlano di bande di motociclisti che vannno da una parte all’altra della città e bloccano per alcuni minuti i ponti, gli accessi alle strade principali, gli incroci e poi scappano via.
Qualcuno lof a con gentilezza, con qualche sorriso e con il fischetto in bocca (ormai diventato il segno tipico della rivolta), con la bandiera thai legata in spalla; ma se vedi anche degli occhiali neri è probabile che ci sia un revolver sotto la giacca: da queste parti anche questa è la realtà. Due sere fa c’è stata una sparatoria con morti e feriti alle 2 del mattino vicino al palco principale della manifestazione a Ratchadamnoen tra il servizio d'ordine dei manifestanti e una di queste bande di motociclisti. Chi sono quest’ultimi? Soprattutto, chi li paga? Le ipotesi sono varie, ed una, forse la più ovvia, è che si tratti di persone appositamente pagate per creare una situazione sempre più calda e costringere i militari a scendere nella mischia con i carri armati. È un'ipotesi o forse la soluzione sperata, attesa e auspicata dai dimostranti ed evitata a tutti i costi dal governo. Per noi europei l’entrata in scena dei carri armati sarebbe vista come un sopruso: in Asia la cosa è vista in modo diverso. Spesso, nelle lotte politich, i militari intervengono per ristabilire l’ordine e la legge ed evitare una possibile guerra civile: in Thailandia ci siamo molto vicini.
Il governo non risponde alle provocazioni, ha dimostrato nervi di ferro e invoca la legge e la Costituzione i cui articoli sono però traditi dal primo ministro, Yinluck Shinawatra e dai suoi ministri. Una situazione estremamente complessa e di non facile soluzione. Su un cartello brandito da uno dei dimostranti c'era scritto: "Ora o mai più". È vero: è la resa dei conti, l’ultimo atto di una lotta che va avanti da troppo tempo. Non si tornerà più indietro e nessuna delle parti, governo e dimostranti, vuole farlo: i dimostranti, tanti, davvero tanti, vogliono spazzar via dal suolo thailandese il regime di corruzione, di strapotere, di monopolio di Taksin Shinawatra e delle sue ditte, nazionali e off shore; dei suoi portanomi, dei tentacoli di questa terribile piovra ramificata ovunque nel Paese e apparentemente legale. Una lotta vera e propria in cui c’è in gioco il futuro del Paese.
Chi ha votato per il suo partito, Phua Thai, al momento se ne sta a guardare: gli elettori sono la gente semplice delle province, gli operai, la gente comune, i cui voti sono stati comprati a prezzo di promesse populiste, poco realizzabili.
È sera quando vi scrivo: prego che non ci siano ancora morti questa notte e nei prossimi giorni. È sera, ma è al tempo stesso l’alba di una nuova Thailandia, di un nuovo futuro che è nel cuore di milioni di persone. Poche macchine in giro per le strade, eppure “si viaggia” verso un futuro, sicuramente migliore, su una strada certo tortuosa, come quella della democrazia. Non sarà priva di prove, di dolore, di lacrime e speriamo anche di gioia e speranza. Una strada in cui si può solo procedere in avanti. Tanti lo sanno e ne sono coscienti, pronti a sacrificare anche la vita, ne sono certo.