Banche. Si salva chi rifiuta la speculazione
L’ultimo rapporto dell’ufficio ricerca e sviluppo di Mediobanca conferma il dato allarmante delle banche europee che ancora, a fine 2011, possiedono in cassaforte un quantitativo enorme di derivati, cioè di strumenti della finanza speculativa che sfuggono a ogni controllo e si rivelano una mina vagante per gli stessi istituti di credito e i loro clienti. Di fronte a questa incertezza si registra una crescente attenzione verso le banche che dichiarano o riscoprono una vocazione sociale, attenta ai bisogni reali di famiglie e imprese. Chiediamo perciò ad Andrea Baranes, presidente della fondazione culturale di Banca Etica, di conoscere qualche numero e dato concreto.
Come state affrontando la crisi attuale che si manifesta come crisi del credito?
«Banca Etica e la finanza etica in generale stanno affrontando e reagendo molto meglio del sistema bancario “tradizionale” all’attuale crisi. Da una parte ovviamente la finanza etica non si è mai lanciata in attività speculative, nel sistema bancario ombra, in operazioni tanto opache quanto rischiose. Oggi i nodi stanno venendo al pettine, i grandi gruppi bancari che hanno operato con leve finanziarie spregiudicate si trovano in enormi difficoltà, hanno costante bisogno di sostegno pubblico, se non di veri e propri “piani di salvataggio”, e nonostante la montagna di soldi ricevuti continuano a prestare con il contagocce. In molti Paesi, tra cui l’Italia, si parla di un vero e proprio “credit crunch”, ovvero del fatto che le banche non prestano più: i soldi ricevuti dalla Bce con il prestito all’1 per cento servono a tappare i buchi delle operazioni pregresse, i giganteschi debiti accumulati, e in molti casi addirittura per continuare a speculare come prima».
Quali sono invece i vostri numeri?
«In una situazione di grande difficoltà per l’insieme dell’economia, l’anno scorso Banca Etica ha aumentato gli impieghi accordati del 24 per cento. Non solo. Per l’insieme del sistema bancario italiano, il tasso di sofferenza (ovvero la percentuale di prestiti che non vengono restituiti) si aggira tra il 5 e il 6 per cento. Per Banca Etica, le sofferenze sono inferiori all’1 per cento. Questo significa che pur prestando a soggetti spesso considerati “non bancabili”, come piccole cooperative sociali, associazioni, botteghe del commercio equo e altri, in questo momento Banca Etica funziona molto meglio della media delle banche italiane».
Il segreto di questi risultati?
«I risultati sono possibili grazie alla completa trasparenza con cui operiamo, grazie al rapporto di fiducia che si instaura con chi chiede un prestito, e più in generale grazie al fatto che Banca Etica “fa la banca”: raccoglie risparmio dalle persone e lo utilizza per finanziare l’economia reale, con un’attenzione alle conseguenze non-economiche delle azioni economiche. In altre parole, l’aspetto paradossale dell’attuale situazione è che ciò che viene chiamato “finanza etica” è in buona parte quello che la finanza dovrebbe fare: uno strumento al servizio dell’economia e dell’insieme della società».
Quali conseguenze se ne possono dedurre?
«Che la gran parte del sistema finanziario ha totalmente perso di vista il proprio ruolo originario per trasformarsi in un fine in sé stesso: fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile. Le conseguenze di questo approccio sono oggi sotto gli occhi di tutti. Per questo è necessario l’impegno di tutti per cambiare la situazione e partire su binari completamente diversi. Oggi abbiamo delle alternative concrete, come quelle rappresentate dalla finanza etica, per non essere più, oltre che vittime, anche complici inconsapevoli della crisi che stiamo vivendo. Se altre banche o attori finanziari continuano a giocare al casinò con i nostri risparmi, abbiamo una risposta tanto semplice quanto efficace: non con i nostri soldi».