Bambini in overdose, a Palermo
È di pochi giorni la notizia di bambini in gravi condizioni, per overdose, all’Ospedale Di Cristina di Palermo. Bambini anche piccolissimi, di un anno e mezzo.
I genitori, anche coloro che si sono confessati tossicodipendenti, non capiscono come sia potuto accadere che i loro figli abbiano assunto hashish o cocaina. E inventano, a tal uopo, le storie più disparate, per motivare l’assunzione accidentale di sostanze stupefacenti da parte dei loro figli, in contesti altri rispetto a quello domestico. Come quella che il loro bambino ha trovato la droga a casa di un amico o al parco; oppure quella tragicomica: «Gli sarà rimasta attaccata alla scarpetta mentre camminava in strada». Dalle perquisizioni, da parte della procura, le loro abitazioni sono parse, però, effettivamente, “pulite”.
«Siamo preoccupati per questi episodi che riscontriamo sempre più spesso» ha detto la procuratrice per i minorenni di Palermo, Claudia Caramanna, che in attesa di comprendere meglio la vicenda, ha indetto dei provvedimenti: alcuni bambini verranno affidati al direttore sanitario dell’ospedale. Un bambino e la sua mamma sono stati invece trasferiti in una comunità. E, in tutti i casi, sono stati allertati i Sert e i servizi del Comune attraverso il Tribunale: le coppie dovranno attenersi ad alcune prescrizioni, pena la perdita della responsabilità genitoriale.
Si tratta di storie amare, fotogrammi d’esistenza che paiono incomprensibili ai più, ma che meriterebbero d’essere affrontati sul nascere. Perché lo spaccio, la commercializzazione della droga, a Palermo, come probabilmente in altre città d’Italia, avviene già nelle scuole. Le ultime statistiche della Prefettura rivelano che nel capoluogo della provincia siciliano l’età degli assuntori di stupefacenti si è abbassata a 12 anni.
Il dramma è che non si riesce a far squadra su questo male dilagante. Se un genitore alza la cornetta, per denunciare alla Direzione Scolastica d’aver ascoltato dialoghi sospetti («Se non si fa trovare, lo ammazzo! Deve pagarmi la dose!») e conferma anche di vedere giornalmente le stesse figure al di fuori della struttura, stranamente ferme, la Scuola risponde: «Tutto ciò che avviene dentro la nostra sede può riguardarci, fuori, purtroppo, no, chiami la polizia!».
Chiamare la Polizia? Si è mai vista una pattuglia restare stabile per giorni o mesi presso una scuola? Come finisce? Che i soliti ignoti continuano a stazionare, indisturbati, anche vicino ai cancelli, con cuffiette alle orecchie e un libro di fumetti in mano, per ammazzare il tempo, nell’attesa di “lavorare”. Nessuno dice più niente. I genitori sperano e pregano che i propri figli saranno diversi, che non resteranno vittime di felicità ingannevoli, che sapranno aprirsi, esporre, se serve, i propri problemi, e loro si faranno in quattro per aiutarli. Stop.
Così pensando, i giovani spacciatori o gli incauti e incoscienti fruitori di droga, crescono. Diventano uomini e donne, si sposano e creano figli anche drogati. Questa è Palermo. Ma la vergogna non sta qui. La vergogna più grande è la non cura delle Istituzioni, colpevoli di non agire abbastanza per lenire, alleggerire, le sofferenze altrui, per prospettare un futuro migliore.
Centinaia di giovani non riescono, infatti, a studiare con profitto o a trovare un lavoro adeguato.
Non avendo alcuna passione, né un’occupazione nobile per cui svegliarsi la mattina e coricarsi la sera, non trovano di meglio che distruggersi, dose dopo dose, la vita, mettendo a rischio anche le vite altrui. E così agendo, arrivano i bambini in overdose negli ospedali a Palermo.