Bambini e peccatori
Dal diario di un medico operante da oltre trent’anni nell’isola dei malgasci, ad Ambatondrazaka.
![](https://www.cittanuova.it/wp-content/uploads/2016/12/1327594379-720x0-c-default.jpg)
«Bisogna stare con gli altri, sempre, anche quando ti sembra che non ci siano, che sei solo, in compagnia unicamente di te stesso». Queste parole rivolte da Chiara Lubich a Sergio Zavoli e da lui riportate mi sono sempre di luce e di aiuto nella drammaticità del dubbio che spesso mi assale qui ad Ambatondrazaka, a contatto con le povertà fisiche e morali di questa umanità con cui sono solidale.
Non sono un assistente sociale, né soltanto un medico, non sono un agente di una ong con scopi di sviluppo, e neppure un manager della sanità pubblica, non sono venuto nemmeno per “salvare le anime” o fare il missionario come comunemente lo si intende. Sono qui con uno scopo ben preciso: testimoniare con la mia vita il Vangelo per questo tempo, orientare quanti più posso verso la fraternità universale. A ciò voglio consacrare tempo, pensieri, immaginazione, forze, sogni, pazzie…
Altri cureranno meglio di me i malati, faranno opere sociali di grande respiro. A me compete essere un cuore che batte e vive per l’unità. Tutto sarà allora per me funzionale a questa parola uscita dalla bocca di Cristo: incontri, studi, viaggi, economia, preghiera, mezzi di comunicazione, casa… Mi specializzerò ogni giorno di più e meglio in questo compito senza guardare né a destra né a sinistra. Sempre avendo, come Gesù, lo sguardo fisso alla mia “ora”: abbandonato «perché tutti siano una cosa sola».
Ci sono solo due condizioni – in cui dobbiamo però riuscire a riconoscerci – per presentarci davanti a Dio e poter essere a lui graditi: quella del bambino e quella del peccatore. Siamo uomini tra gli uomini, non migliori di nessuno, ma “ci fidiamo” di Gesù e delle sue parole. Noi corriamo da lui, sicuri e forti delle speranze dei bambini che tutto si aspettano dal loro papà.
Considerando le nostre comunità, e vedendole a volte piccole, meschine, attraversate da gelosie, grettezze, piccoli egoismi e interessi, ci cascano le braccia! Eppure non erano poi così differenti gli apostoli e le donne che erano con Gesù o le folle che lo seguivano. La madre dei figli di Zebedeo reclamava un posto importante per Giacomo e Giovanni, i discepoli sognavano la gloria del Messia, tanti sfruttavano Gesù per i suoi poteri di guarigione…
Questa è l’umanità. Queste sono le nostre comunità. Questi siamo noi stessi. Dobbiamo imparare a essere come Gesù, il “medico divino”, paziente e dolce, al capezzale di questa nostra umanità malata, tra cui anche noi. Essere accanto, aver cura, ascoltare a lungo, con interesse e rispetto, far sentire ognuno importante. Amare cioè tutti a fondo perduto, senza aspettarsi riconoscenza, ma semplicemente perché siamo figli dell’unico Padre.