Baisakhi il capodanno dei sikh

Il Nord India e il Punjab pakistano festeggiano con musica e danze, si legge il libro sacro e si allestiscono pranzi comuni in nome della condivisione e della fratellanza
Baisakhi

Baisakhi, denominato anche Vaisakhi, è il capodanno celebrato dalla comunità dei sikh, che quest’anno cade il 13 e 14 aprile. La festa è stata ideata dall’ultimo dei dieci guru fondatori di questa religione, guru Gobind Singh, famoso per aver dato vita al Khalsa, la lega fraterna che unisce i sikh che accettano di farne parte nella lotta contro la violenza e l’oppressione, cui la comunità nascente fu oggetto per quasi un secolo nel Punjab, lo Stato del Nord India (parte si trova oggi anche in Pakistan) dove nacque guru Nanak, il fondatore e primo guru di questa religione.
 
La tradizione vuole, comunque, che grande merito per la festa che si celebra in questi giorni vada al predecessore di Gobind Singh. Il nono guru fondatore fu, infatti, guru Teg Bahadur, che lottò strenuamente per difendere la libertà degli indù e dei sikh di fronte all’imperatore Moghul Aurungzeb, che aveva lanciato una campagna per islamizzare tutto il Nord India. I moghul alla fine ebbero la meglio e guru Teg Bahadur fu decapitato, dando esempio di coraggio estremo e di capacità di dare la vita per la propria gente e per la libertà religiosa.
 
Il suo successore, figlio di Bahadur, guru Gobind Singh, con l’intenzione di proporre la figura del padre come modello di coraggio e di libertà convocò i sikh (che significa “seguace”) nella città santa (fino ad allora) di Anandpur. Era il 30 marzo del 1699, il giorno di Baisakhi, che celebra il raccolto per i contadini del Nord India.
 
Erano migliaia i sikh che accorsero e che furono testimoni della sfida a cui il nuovo guru li sottopose. Chiamò, infatti, cinque volontari, uno dopo l’altro, pronti a dare la vita. Cinque uomini ebbero il coraggio di testimoniare la loro forza d’animo, ma il guru non li uccise e li propose alla sua gente come esempi viventi da seguire. I cinque passarono alla storia come i Panj Piara, i cinque amati, i primi membri del Khalsa. La fondazione fu benedetta con una cerimonia che mirava a cancellare tutte le differenze, soprattutto di casta, per fare di ogni membro dell’organizzazione un vero fratello degli altri. L’ordine fu chiamato Khalsa Pantha (Ordine dei puri) e rappresenta un passo importante nell’ambito dell’integrazione etnica e religiosa nel complesso contesto dell’India.
 
Per confermare che il Khalsa vuole essere un passo verso una vera integrazione, guru Gobind Singh cambiò il nome di tutti coloro che vollero far parte dell’ordine. Al proprio nome e cognome gli uomini aggiunsero Singh (leone) e le donne Kaur (principessa). Lo stesso guru, il cui nome era Gobind Rai, scelse di diventare Gobind Singh per dare l’esempio a tutti coloro che vollero fare questo passo.
 
La festa è celebrata in tutto il Nord India e nel Punjab pakistano con molto frastuono di musica e danze, a ritmi coinvolgenti e volume assordante.
 
I gurdwara, i luoghi di culto tipici dei sikh, sono affollati di fedeli fin da prima dell’alba. Chi non può raggiungere i due luoghi più sacri del sikhismo, il Golden temple di Amritsar e l’Anandpur sahib di Anandpur, dove venne fondato il Khalsa, si reca al tempio vicino casa. In ogni tempio, il guru Granth Sahib, il libro sacro dei sikh, che ha preso il ruolo dell’undicesimo guru, quello che guida in modo permanente la comunità, viene venerato con latte e miele e, infine, posto al centro dell’assemblea, mentre viene letto con il tipico canto cantilenato che riempie l’aria di sacro.
 
È il giorno in cui ci si impegna a lavorare per la fratellanza all’interno del Khalsa. La celebrazione culmina con un pranzo comune nei grandi langaar, mense comuni che favoriscono la vita sociale integrata e familiare della comunità sikh, dove spariscono tutte le differenze.
 

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Carlo Maria Viganò scismatico?

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons