Bagnasco: servono visioni grandi
Forte invito del presidente dei vescovi italiani ad un serio dialogo sulla storia condivisa del Paese, in occasione di un convegno sui 150 anni dall'Unità di Italia organizzato dalla Cei.
Il rischio è «destrutturare la società italiana» ha tenuto a precisare il card. Bagnasco in apertura del convegno dal titolo «‘L’unità nazionale: memoria condivisa, futuro da condividere» svoltosi a Genova il 3 maggio.
Se nel cuore d’Europa, in Belgio, si rischia seriamente una secessione sostanzialmente per motivi economici, l’unità d’Italia non è materia di retorica o di compatibilità dei costi per celebrazioni ritenute, secondo alcuni, inutili. Il pericolo di una frattura è reale e non suscita più semplici battute su certi atteggiamenti ritenuti, un tempo, folcloristici. Esiste una domanda di fondo che il presidente dei vescovi italiani ha posto nel saluto al seminario organizzato dal Comitato per le Settimane sociali della Cei: «Riflettiamo su noi stessi, su quello che eravamo, e su quello che oggi dopo tanti e rapidi successi rischiamo di compromettere. Stiamo progressivamente perdendo la fiducia in noi stessi, stiamo assumendo stati d’animo e stili di vita che finiscono col destrutturare la società intera? Quella energia morale che avevamo dentro ed ha consentito ad una nazione, uscita dalla guerra in condizioni del tutto penose, di ritrovarsi in qualche decennio tra le prime al mondo, quella forza vitale che fine ha fatto?».
Interrogativi espliciti che sono lontani da un certo linguaggio paludato che richiede di essere decifrato. Una presa di coscienza che, fuori da ogni strumentalizzazione effimera, muove a riscoprire assieme le ragioni della convivenza civile dato che la Chiesa «anche quando è chiamata ad annunciare una verità scomoda, resta con chiunque amica. Essa, infatti, non ha avversari ma davanti a sé ha solo persone a cui parla in verità». E si tratta di un percorso aperto dove si rivela decisivo poter acquisire una seria coscienza storica, dato che ogni dimenticanza, od oblio intenzionale, diventa «precondizione della barbarie». Prezioso perciò il lavoro dello storico, proprio perché producendo critiche severe e costruttive, assume un valore umanizzante che libera dalla mitologia. Questa attività di analisi, che è stata oggetto del convegno di studi, si palesa perciò un contributo ad un senso di responsabilità per il bene comune perché « svela continuamente quell’impasto di intuizione e limite, di bene e di male, da cui la vicenda umana è formata».
E le relazioni tenute a Genova, città di cui Bagnasco ha avuto anche modo di citare la tradizione repubblicana, hanno osservato il rigore richiesto proprio nell’affrontare, con l’intervento del professor Romanato, la «questione cattolica» nell’Unità d’Italia che ha segnato profondamente il volto di un Paese reale, molte volte non rappresentato da quello legale. Evidenziando il contributo decisivo di quei cattolici che nel secondo dopoguerra, nella consapevolezza degasperiana di essere una minoranza diventata maggioranza elettorale, seppero portare a compimento le istanze profonde di giustizia sociale, della centralità della persona antecedente allo Stato, di valorizzazione degli enti locali accanto all’apertura ad un ordinamento internazionale.
E il card Bagnasco, valorizzando l’incontro tra le differenze, ha sottolineato proprio la necessità di rinnovati patti di amicizia civile «consapevolmente contratti ed esplicitamente fondati su specifiche opzioni di valore». In questo senso il patto costituzionale del 1948 riveste la propria grandezza non tanto per «un’astratta perfezione», ma proprio perché storicamente determinato dal fatto che per esso «tanti cattolici, insieme a tanti uomini e donne di buona volontà, seppero spendere intelligenza ed anche versare il proprio sangue». Diventa perciò urgente un rinnovato impegno per i cattolici, insieme a tutti, a spendersi per il bene comune E il percorso avviato verso la Settimana sociale che si terrà il prossimo ottobre a Reggio Calabria, ha avuto modo di scoprire una tensione morale largamente condivisa e diffusa nel Paese, «forse più di quanto potessimo immaginare», nota il presidente dei vescovi italiani.
Non si tratta di un invito retorico. Nel tessuto quotidiano delle nostre città sappiamo bene come l’affievolimento di questa «amicizia civile», la mancanza di riconoscimento dell’altro, logora il legame sociale e, con esso, le fondamenta della casa comune.