Bagliori a San Pietroburgo
Sto leggendo Povera gente, romanzo del 1846 che rivelò Dostoevskij scrittore al livello di Gogol’ e il cui successo stupì lo stesso autore, allora appena 25enne. Erano ancora lontani i drammi personali che l’avrebbero segnato per sempre ed egli si affacciava appena su quelli della società del suo tempo, ma già si rivelava l’acuto osservatore dell’animo umano che nei successivi capolavori si sarebbe fatto carico delle sorti degli “umiliati e offesi”. Prototipo dei quali sono i due protagonisti Makar Alekseevič Devushkin, di professione copista, e Varvara Dobroselova, la giovane cugina rimasta orfana che può contare solo su di lui, ma come lei alle prese con i problemi della sopravvivenza. Scenario di questo melanconico romanzo epistolare è San Pietroburgo, la città dove Dostoevskij sperimentò nel 1849 il trauma della condanna a morte, commutata all’ultimo istante nell’esilio in Siberia (era accusato di un complotto contro lo zar), e dove trascorse l’ultima parte della sua tormentata esistenza.
La mitica capitale europea edificata da Pietro il Grande sulle rive della Neva ritorna in Bagliori a San Pietroburgo, il nuovo libro di Jan Brokken, già apprezzato in Italia per i bellissimi Nella casa del pianista, Anime baltiche e Il giardino dei cosacchi. In questo reportage narrativo, edito come i precedenti da Iperborea, ritrovo Dostoevskij nei luoghi dei suoi romanzi e nello stesso parco dove rischiò di essere fucilato. E non solo lui. Insieme all’autore di Delitto e castigo rivivono altri protagonisti del mondo letterario, musicale e culturale legati a questa città dalla quale l’autore olandese rimase ammaliato fin dal suo primo viaggio nel 1975, quando ogni luogo di essa gli richiamava alla mente ora un libro ora una musica. «Tutto qui predispone a riflettere, osservare, ricordare – confessa –; tutto spinge quasi impercettibilmente a una sconsolata malinconia. Se San Pietroburgo non fosse esistita, avrei inventato io questa città che sonnecchia sul fiume, come uno stato d’animo che mi corrisponde per sempre».
Girovagando per le sue vie, piazze e giardini, in continuo dialogo fra passato e presente, l’inquieto viaggiatore che è Brokken rievoca lo spirito di poeti e scrittori come Anna Achmatova, Osip Mandel’štam, Esenin, Iosif Brodskij, Solženicyn, Gogol’, Turgenev e Nina Berberova, di pittori come Malevič, di musicisti come Čaikovskij, Rachmaninov, Šostakovic e Stravinskij, di aristocratici come il principe dandy Jusopov che assassinò Rasputin, e di molti altri ancora. Egli sa tutto di loro, entra ed esce da queste esistenze come uno di casa. Senza pesantezze di erudizione, sempre trasformando il dato biografico e storico in una sinfonia di ricordi e frammenti di vita, in un’ode alla musica, alla letteratura e alla cultura russe. Sullo sfondo di queste vite spesso in bilico tra genialità e follia, riecheggiano i grandi cambiamenti politici (e onomastici) del Novecento pietroburghese: la rivoluzione e il crollo dello zarismo, quando la città si chiamava Pietrogrado; la Seconda guerra mondiale e lo stalinismo; il collasso dell’Unione Sovietica, fino al momento in cui Leningrado torna a chiamarsi San Pietroburgo. Aleggia su non pochi di questi personaggi, in quanto dissidenti, l’ombra dell’esilio: e allora l’antica capitale russa diventa capitale anche della nostalgia, la meta sempre sognata e mai più raggiunta.
Lungi dal consegnarci una sorta di guida turistica (mancano, infatti, vere descrizioni della città), Brokken ci restituisce l’anima di San Pietroburgo, diventata “sua” attraverso la frequentazione di coloro che, lanciando “bagliori” di viva umanità, vi hanno lasciato una traccia indelebile.