Baccio, un grande dimenticato
Difficile aver concorrenti come Michelangelo. C’erano troppi geni a Firenze, ai primi del Cinquecento e la concorrenza era spietata. Bartolomeo, cioè Baccio Bandinelli, classe 1493, si trovava a confrontarsi con alcuni di loro. Ma non era tipo da demordere. Lo vediamo ancora, giovane ombroso, nel ritratto che gli ha fatto Andrea del Sarto. Lo vedono ogni giorno i fiorentini guardando in Piazza della Signoria, all’ingresso di Palazzo Vecchio, proprio accanto al David di Michelangelo, il suo Ercole e Caco. Scultura "bestiale", ossia grandiosa, prorompente fisicità da tutti i pori, con quell’ossessione per il corpo che i fiorentini avevano avuto da Giotto in su, passando per Brunelleschi e Donatello, Verrocchio e Pollaiolo, Leonardo e Michelangelo. E Baccio e Cellini. L’amore per il classico era furore, passione, moda. L’Ercole vincitore bandinelliano è dal 1534 che si staglia, colossale, a Firenze. Dietro il colosso palestrato – una anatomia da far invidia al Buonarroti – c’era il pensiero di Giulio de’ Medici, fiorentino, che governava la città e la Chiesa col nome di Clemente VII. Un messaggio politico, prima di essere un fatto artistico.
Con i Medici, finché visse, soprattutto con il papa e Cosimo I, Baccio ebbe molto a che fare. Chi entra in Palazzo Vecchio nella Sala delle udienze trova il gruppo di Clemente VII che incorona l’imperatore Carlo V: arte e politica ancora insieme, perché il papa è colossale di fronte a Carlo, piegato sotto di lui. L’arte esaltava un papato in realtà succube dell’impero, dopo il Sacco di Roma del 1527, mentendo spudoratamente sulla realtà. Ma le guerre passano, l’arte rimane in eterno, deve aver pensato Clemente, e con lui Baccio, il possente scultore della gloria.
Dalla politica alla religione. La folla che entra in Santa Maria del Fiore, trasognata per l’altezza e l’immensa cupola decorata, chissà se ha tempo di accorgersi del recinto del coro, dove Baccio ha scolpito in rilievi traslucidi, dal 1545 in poi, le storie bibliche con santi e profeti. L’ispirazione è possente e Baccio non risparmia il suo amore per corpi slanciati e vigorosi, mossi e immobili, ma animati da una terribile energia vitale. Un mondo che faceva invidia al Buonarroti perché pareva che Baccio gli "rubasse il mestiere" e fosse se non bravo quanto lui, quasi al suo livello… Del gigantesco complesso che aveva inventato, oggi esistono solo alcune statue: al Bargello i giganteschi Adamo ed Eva, immagini del più raffinato e plastico manierismo, e nella cripta di Santa Croce il mirabile Cristo deposto e la Madonna. Il viso del Messia ha quel sorriso dolce e felice, pur nella morte, che ricorda certo Pontormo, Parmigianino e Cellini. Una religiosità devota, tenerissima, che stupisce in un autore tanto amante dell’esplosione plastica.
Ma c’è in Baccio una vena leggiadra, elegiaca. Si osservino statue come il Mercurio o l’Orfeo, i disegni, certi bronzetti e si vedrà che egli, abile in ogni forma d’arte, aveva una propensione per la liricità e la poesia. Una scoperta.
Chi sta a Roma, infine, non perda nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva i sepolcri dei papi medicei, Leone X e Clemente VII: una solennità sobria e grandiosa, corpi forti, fatti per l’eterno. A coprire due pontificati difficili. Ma a Baccio interessava l’eternità. Lui lavorava per la gloria. Questa mostra ci fa scoprire un talento immenso. Da non perdere.
"Baccio Bandinelli, scultore e maestro". Firenze, Bargello. Fino al 13 luglio (catalogo Giunti).