Azzurro (molto) sbiadito
Abbiamo visto trionfare tanti atleti provenienti dalla Polonia, nazione che alla fine ha primeggiato nel medagliere finale con un bottino di sette medaglie d’oro, una d’argento e quattro di bronzo. Tra questi, anche il non ancora ventenne Konrad Bukowiecki, che nel lancio del peso, con un lancio a 21 metri e 97 centimetri, è stato autore di uno dei gesti tecnici più rilevanti dell’intera manifestazione. Abbiamo visto salire sul gradino più alto del podio anche diversi atleti britannici, su tutti la talentuosa mezzofondista Laura Muir, ventiquattrenne studentessa di veterinaria a Glasgow, capace di centrare una storica doppietta in campo femminile (sue le vittorie nei 1500 e nei 3000 metri). E ancora, abbiamo potuto osservare la gioia incontenibile del pubblico di casa per il successo della loro beniamina, la ventiseienne serba Ivana Spanovic, che si è aggiudicata la prova del salto in lungo con un incredibile balzo lungo 7 metri e 24 centimetri, una misura d’eccellenza assoluta per quanto riguarda questa specialità.
E non basta. Perché nel corso dei campionati europei indoor di atletica leggera, andati in scena a Belgrado negli ultimi giorni, abbiamo sentito risuonare per la prima volta nella storia di questa manifestazione l’inno nazionale di due Paesi come la Lituania e l’Albania. Nel primo caso il merito è della ventiquattrenne Airine Palsyte, nuova campionessa europea al coperto di salto in alto (suo l’oro con un salto appena oltre la fatidica soglia dei 2 metri: 2,01). Nel secondo caso, invece, il merito è tutto del ventitreenne albanese Izmir Smajlai, che con un salto di 8 metri e 8 centimetri, realizzato in finale proprio nell’ultimo dei suoi sei tentativi, è salito sul gradino più alto del podio nella gara di salto in lungo maschile. E l’Italia? Mentre il mondo (e non solo l’Europa) corre sempre più forte, mentre ragazzi e ragazze saltano e lanciano con grande profitto un po’ a tutte le latitudini e longitudini, l’atletica di casa nostra, risultati alla mano, fatica ormai da diversi anni a ricavarsi un ruolo apprezzabile nel panorama internazionale. Ed è stato così anche a Belgrado.
A salvare la spedizione azzurra questa volta ci ha pensato il capitano Fabrizio Donato, un atleta davvero “eterno”, che ha già alle spalle una carriera sportiva ricca di soddisfazioni ma che non ha ancora deciso di “appendere le scarpette al chiodo”. Fabrizio ha dimostrato in questi europei al coperto di poter ancora essere competitivo ai massimi livelli, nonostante debba necessariamente fare i conti con gli inevitabili acciacchi di chi, come lui, ha superato i quarant’anni. L’azzurro, bronzo ai Giochi olimpici di Londra 2012, è arrivato a questa manifestazione senza troppe pressioni, e con un salto a 17 metri e 13 centimetri ha vinto una splendida medaglia d’argento nel salto triplo battuto solo dal trentaduenne portoghese Nelson Evora (17,20), altro atleta espertissimo già vincitore tra l’altro della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino del 2008.
Per la nostra rappresentativa le soddisfazioni finiscono praticamente qui. Si contano sulla punta delle dita, infatti, gli altri piazzamenti nelle prime otto posizioni ottenuti dai nostri portacolori. Quarta si è classificata la staffetta femminile 4×400 metri (ma in questa prova erano al via solo sei nazioni), sesti Silvano Chesani nell’alto e Marouan Razine nei 3.000 metri maschili, gara nella quale è giunto settimo anche l’altro azzurro Yemen Crippa. Settima posizione anche per Giulia Viola (in questo caso nei 3.000 femminili), e per Filippo Randazzo (salto in lungo), mentre il giovane mezzofondista Yassin Bouih è arrivato ottavo nei 1500 metri. Poco, davvero troppo poco per essere soddisfatti. Ma, come dicevamo, non c’è da stupirsi più di tanto. Basta ricordare che anche in un contesto ben più probante come gli ultimi campionati del mondo disputati a Pechino nel 2015, gli azzurri dell’atletica hanno fatto letteralmente “flop”.
Tante “controprestazioni”, precoci eliminazioni in batteria o in qualificazione, e pochissimi nostri rappresentanti capaci di dare la sensazione di poter avvicinare realmente le posizioni di vertice. Risultato finale? Zero medaglie! Un bilancio estremamente negativo, confermato purtroppo anche la scorsa estate a Rio de Janeiro, quando abbiamo toccato il momento più basso degli ultimi sessanta anni di Giochi olimpici. Per la prima volta dall’edizione di Melbourne del 1956, infatti, gli azzurri non sono riusciti a salire nemmeno una volta sul podio (quarantadue, invece, i Paesi che in quell’occasione ci sono riusciti!). Insomma, inutile girarci intorno, negli appuntamenti che contano ci stiamo “abituando” da tempo a non essere più competitivi. Tra l’altro in questi anni abbiamo visto evaporare, tra infortuni in serie e scelte tecniche rivelatesi spesso incomprensibili, tanti possibili talenti: un vero peccato!
Ormai anche gli europei indoor di Belgrado sono alle spalle e bisogna guardare avanti. Prendendo atto di quello che non va, certamente, ma anche, come ci insegna un efficace detto popolare … ricordandosi che mai “buttare via il bambino con tutta l’acqua sporca”. Eh già, nonostante tutto bisogna saper distinguere ciò che è valido da ciò che non lo è, perché anche quando ci si trova difronte a qualcosa che presenta tanti aspetti negativi, come il caso dell’atletica azzurra dei giorni nostri, a ben guardare c’è sempre qualcosa di positivo da salvare. Non mancano, ad esempio, diversi giovani su cui vale davvero la pena investire, come il diciottenne Filippo Tortu, velocista lombardo di origine sarde laureatosi vice-campione mondiale under 20 nei 100 metri. Su lui, e su diverse altre giovani promesse, stanno lavorando da qualche tempo con passione e competenza Stefano Baldini (indimenticato trionfatore della maratona olimpica ai Giochi di Atene 2004, ora “Direttore Tecnico allo sviluppo” della nostra nazionale) e il suo staff.
La nostra federazione, inoltre, sta avviando proprio in questi mesi una preziosa collaborazione con diversi tecnici stranieri di assoluto livello internazionale. Collaborazione, che dovrebbe dare i suoi frutti nel prossimo futuro. Tra questi Vitaly Petrov, l’uomo che ha costruito i successi di due stelle del salto con l’asta come Sergey Bubka e Yelena Isinbayeva, Santiago Antunez, esperto delle prove a ostacoli che in passato ha allenato due atleti come Anier Garcia e Dayron Robles arrivati al titolo olimpico, e ancora Wolfang Ritzdorf e Werner Goldmann, già coach rispettivamente delle fortissime altiste Ulrike Meyfart e Heike Henkel, nonché della leggenda del lancio del disco Lars Riedel. E poi non dimentichiamoci che c’è sempre Gianmarco Tamberi, uno dei più forti atleti al mondo nel salto in alto, assente a questi europei indoor dopo l’intervento in artroscopia al piede sinistro (il suo piede di stacco) cui si è sottoposto in gennaio per cercare di eliminare quel dolore che da qualche tempo non gli permetteva di allenarsi. Il prossimo grande appuntamento, in ordine temporale, sono adesso i campionati del mondo che si disputeranno nel mese di agosto a Londra. Dove speriamo, finalmente, in una decisa inversione di tendenza!