Azzardo nazionale
Ci siamo ridotti a svenderci perfino i simboli. Sulla maglia delle nostre squadre nazionali di calcio, dall’under 15 alla nazionale maggiore, dalle prossime partite farà bella mostra di sé il logo di una società del settore dell’azzardo (gaming e betting si dice nei comunicati stampa, così non capiamo e non ci spaventiamo); una di quelle imprese, legali per carità, ma che hanno come finalità esplicita quella di far soldi sfruttando le fragilità dei più vulnerabili tra noi.
E di soldi in questo modo se ne fanno davvero tanti. L’anno scorso in Italia sono stati “raccolti” dalle aziende del settore più di 88 miliardi di euro, il 4% del Pil nazionale; gli italiani hanno bruciato nell’azzardo il 10% totale delle spese per consumi. Per questo il nuovo sponsor della nazionale, nei soli primi tre mesi di quest’anno, ha potuto “raccogliere” 1,46 miliardi di euro, con una crescita del 12% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Un sacco di soldi che devono aver fatto luccicare gli occhi a Carlo Tavecchio e ai suoi amici della Federazione italiana gioco calcio, che con malcelato orgoglio ci comunicano di aver chiuso l’accordo di sponsorizzazione sulla base di «un progetto culturale fondato su valori autenticamente condivisi».
Quale cultura? Quali valori? La cultura è quella, irresponsabile, che ha portato il nostro Paese a diventare in pochi anni un’autentica bisca a cielo aperto, che ha trasformato le nostre città, che ha fatto chiudere le botteghe artigiane e i piccoli esercizi commerciali per rimpiazzarli con sale scommesse e compro-oro, che vede personaggi dello sport e dello spettacolo, vendere bellamente la loro immagine per propagandare l’azzardo soprattutto ai giovani, che rende normale che aziende i cui “servizi” producono sistematicamente azzardopatici siano invitate nelle scuole dei nostri figli a parlargli del valore del gioco e della responsabilità, o dagli operatori delle dipendenze a farsi spiegare come curare le malattie che loro stesse causano, e magari a farsi finanziare qualche progetto di “prevenzione”.
Una cultura che considera normale che il sottosegretario all’economia con delega ai giochi, che dovrebbe regolamentare, coi suoi provvedimenti, il mercato, avendo come bussola il bene dei cittadini, scriva la prefazione di un libro che ha come sottotitolo “Il proibizionismo inflitto al gioco legale dalla normativa locale”, nel quale l’autore, avvocato di un importante studio legale specializzato nel curare per le imprese del settore dell’azzardo i rapporti con la Pubblica amministrazioni (questa volta si usa l’italiano, perché l’inglese lobbying, non suona bene), ci spiega a quali ingiuste vessazioni le povere multinazionali siano soggette a causa di indisciplinati sindaci no-slot e, non contento di averne scritto la prefazione, il sottosegretario, vada in giro a presentarlo per convegni e seminari. Di che stupirsi allora se qualche giorno fa lo stesso sottosegretario è stato immortalato circondato da alti papaveri dell’industria dell’azzardo mentre provava compiaciuto un nuovo modello di slot alla fiera dell’azzardo che è in questi giorni in corso a Roma. Il tutto mentre il suo capo, il premier Matteo Renzi sbandiera ai quattro venti di voler eliminare le slot da tutti gli esercizi commerciali. A chi credere? Actions speaks louder than words, si dice, sempre in inglese: i fatti parlano più delle parole.
Si capisce come in questo clima culturale non debba essere apparso strano a Tavecchio, per niente contradditorio con il suo mandato, con il senso più profondo del gioco e dello sport, quell’accordo con la grande società dell’azzardo. Società italiana, ma controllata da un fondo di investimento con sede in quel paradiso fiscale che è il Lussemburgo, e con interessi che vanno dal settore farmaceutico a quello del lusso, dall’industria estrattiva a quella dei servizi finanziari. Quali valori comuni con la Federazione italiana gioco calcio? Ai lettori la risposta.
Certo è che questo accordo appare come uno sfregio allo sport, quello vero; al suo simbolo più amato, la nazionale di calcio; a tutti quei ragazzi che credono nel calcio, che sudano sui campi e si prendono calci negli stinchi solo per passione e per il gusto di giocare; a tutti quei genitori che credono che lo sport possa insegnare ai propri figli i valori sani dell’impegno, del sacrificio, della squadra, della vittoria e della sconfitta; a quei calciatori delle nazionali giovanili costretti a fare propaganda a una società i cui “servizi” sono vietati ai minori, cioè anche a loro. Ma soprattutto è uno sfregio per quelle centinaia di migliaia di famiglie rovinate dall’azzardo. Uno sfregio per tutti noi che vorremmo vivere in un Paese civile, dove i simboli non si svendano, dove i valori si proteggano e dove a simili errori si ripari, magari con delle tempestive dimissioni.