Azzardo morale e decreto sulle banche venete
In questi mesi gli azionisti delle due banche (Popolare Vicenza e Veneto Banca) hanno visto evaporare il valore di titoli che per decenni erano stati considerati un investimento sicuro: potranno forse recuperare qualcosa fra qualche anno, alla chiusura della liquidazione delle versioni cosiddette “cattive” delle due banche, quelle di cui rimangono azionisti ed in cui rimangono i debiti assieme ai crediti di difficile recupero ed i beni dati per essi in garanzia; la banca (Intesa San Paolo) che ha acquistato per un euro e con una dote di quasi cinque miliardi le loro attività “buone”, di esse non si fa carico.
Essi potranno iniziare azioni di responsabilità verso gli amministratori in carica negli anni in cui i finanziamenti non restituiti erano stati deliberati, sperando di ricavarne qualcosa.
Con il decreto del governo vengono messi al sicuro i correntisti, chi aveva acquistato obbligazioni normali, senior, ed anche i piccoli risparmiatori che si erano convinti per il buon rendimento ad acquistare obbligazioni “subordinate” o junior, quelle per le quali in caso di crisi la banca può sospendere il pagamento delle cedole.
Le obbligazioni subordinate a volte prevedono anche di essere convertite in azioni: in questo caso arrivando a perdere ogni valore;. Per chi le aveva acquistate in tempi non sospetti prima del 2014, il decreto prevede il rimborso dell’80 per cento del valore nominale; nessun rimborso è garantito invece per chi le ha acquistate per poco, più tardi, per speculare, sperando nel rimborso a prezzo pieno.
Il decreto adesso passa al Senato. Se non fosse anche qui approvato, quanti hanno a che fare con quelle banche ne soffrirebbero parecchio: esse dovrebbero essere in questo caso liquidate secondo le regole in vigore in Europa dal 2014, cioè secondo il cosiddetto “bail-in”. Vedrebbero svanire i loro investimenti non solo gli azionisti, ma concorrerebbero a sanare le perdite anche i possessori di obbligazioni “subordinate”, se fosse ancora necessario anche gli obbligazionisti senior ed i correntisti con depositi superiori a centomila euro per persona.
Le banche sono società per azioni private. Si potrebbe obiettare che secondo la logica di mercato quanti hanno lucrato investendo in esse nei giorni buoni dovrebbero farsi carico anche dei loro giorni grami: il fatto è che la banca, anche se privata, inevitabilmente offre un servizio pubblico, che è fondamentale per il funzionamento dell’economia moderna ed è basato sulla fiducia – vero valore della banca, quella che offre la certezza che i risparmi sono al sicuro.
Quando un cittadino pone i risparmi in un conto corrente o in una obbligazione bancaria, di solito trascura di chiedersi a dove essi vanno effettivamente a finire: in cuor suo li vede fermi al sicuro nella cassaforte, ma di essi in banca rimane solo una riga di conto, a cui corrisponde l’impegno di restituirne su richiesta una parte per un pagamento o l’intero l’ammontare al momento del rimborso del titolo.
Quei soldi escono immediatamente dalla banca per correre a finanziare una attività economica, l’acquisto di un appartamento o di un elettrodomestico; o magari, se non si è accorti, a finanziare traffico di armi. La circolazione del denaro è il sangue che tiene vivo il mondo economico: quello che a molti, purtroppo non a tutti, offre un lavoro ed uno stipendio.
Che cosa può succedere quando si abbandona una banca lasciandola fallire lo abbiamo visto nel il disastro economico mondiale che è seguito al fallimento della banca Lehman, che di fallire per le sue enormi speculazioni pure meritava ampiamente: un danno superiore ai sacrifici che la comunità avrebbe sopportato evitando il fallimento.
Purtroppo questo fatto è così evidente da suggerire un ricatto, da essere strumentalizzato da chi gestisce banche troppo grandi per essere lasciate fallire, le banche “too big to fail” (troppo grandi per fallire) degli americani: così chi le guida può cedere alla tentazione del cosiddetto “azzardo morale”: sicuri che non si sarà lasciati fallire, si azzardano speculazioni finanziarie che lucrano grandi guadagni proprio grazie ai rischi che si corrono.
In questi casi si commette il crimine sociale di trasformare un servizio pubblico indispensabile per la comunità in una “struttura di peccato” (concetto usato da Giovanni Paolo II nell’udienza generale del 25/08/1999) che dimentica il dovere del servizio per favorire l’interesse personale o quello della propria consorteria. Questi crimini sociali, che dovrebbero essere severamente puniti, nel mondo di oggi purtroppo spesso restano impuniti: ben vengano le azioni di responsabilità verso amministratori disonesti ed a quanti si approfittano della fiducia dei risparmiatori.
Qui una cronistoria della vicenda ricostruita da Avvenire (ndr)