Azzardo, le lobby sono invincibili?

Il governo è vicino ad incassare il parere positivo della Conferenza Stato-Regioni sulla nuova regolamentazione di un mercato che raccoglie oltre 95 miliardi di euro. Una dura critica nell’intervista a Daniela Capitanucci, psicologa tra i fondatori dell’associazione And, Azzardo e nuove dipendenze
Sindaci contro l'invasione dell'azzardo. foto Legautonomie

Giovedì 9 febbraio 2017 sembra essere il giorno in cui la Conferenza Stato-Regioni darà il proprio assenso al decreto legislativo elaborato da tempo dal governo per riordinare l’offerta d’azzardo. La riduzione delle slot machine viene compensata da una concentrazione delle Awp di nuova generazione (l’acronimo inglese sta per “macchine per divertimento”) in “sale di tipo A”, separate fisicamente dai locali commerciali, svincolate da ogni regolamentazione comunale quanto ad orari, distanze da luoghi sensibili come scuole e ospedali. Insomma tutti quegli stratagemmi usati, con alterno successo, dagli enti locali per ostacolare la diffusione dell’azzardo nell’Italia che ha sfondato il muro dei 95 miliardi di euro nel 2016.

Sulla proposta del governo presentata dal sottosegretario Pier Paolo Baretta, che ha la delega ai “giochi”, ascoltiamo il parere competente e appassionato di Daniela Capitanucci, psicologa, socio fondatore e presidente onorario dell’associazione AND-Azzardo e nuove dipendenze.

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La Capitanucci, tra i relatori dell’ultima edizione di Loppiano Lab, ha sottoscritto nel 2015 nella sede di Avvenire con altre associazioni, compreso Slot Mob, un  appello ai parlamentari e al governo in quattro punti  sulla questione azzardo. Istanza rimasta finora ignorata.

Come si spiega la proposta reiterata del governo alla conferenza Stato Regioni? Siamo ormai alla volata finale?
Parrebbe un atto disperato. Tornando indietro con la memoria, ricordo che lo sdoganamento dell’azzardo legale industrializzato a bassa soglia venne fatto a livello di Stato centrale, a partire dal 2003, senza la benché minima considerazione dei territori. Qualche anno prima in Parlamento era stata bocciata la proposta di aumentare il numero dei casinò in Italia. Ciò che è stato messo fuori dalla porta è entrato dalla finestra.

Ma il diavolo fa le pentole e – per fortuna – non i coperchi. Il movimento che progressivamente si è creato dal basso (fatto da associazioni, ma ancor più da enti locali) ha raggiunto un obiettivo che i nostri “Mangiafuoco” non avevano previsto, obiettivo che è riuscito a minare lo strapotere egemonico centrale e soggetto facilmente all’influsso di potenti lobby: frammentare gli interlocutori.

Puoi sedurre o corrompere un limitato manipolo di personaggi chiave che fanno politiche a livello centrale, ma come fai a ottenere lo stesso risultato quando i tuoi interlocutori diventano migliaia di sindaci di piccoli o grandi Comuni? Tappi un buco di qua, e se ne aprono dieci da un’altra parte…

Ecco allora che lo Stato centrale prova ora a far ritornare centralizzate le norme, con tentativi di accordi perlopiù irricevibili. Non è un caso che sia così difficile trovare un’intesa in Conferenza Stato-Regioni.  Ma si sono tentate strade ancor più disperate, o subdole. Rammento che alcuni mesi fa vi fu la proposta di sanzionare economicamente quei Comuni che limitavano le slot nei loro territori, perché “colpevoli” di ridurre le entrate erariali.

E i territori devono resistere. Devono continuare a resistere.

Nonostante quelli che continuano a somigliare a “ricatti” come a dire: “niente accordo in Conferenza Stato-Regioni, niente riduzione delle slot”: come a dire, “se le slot non verranno ridotte è colpa delle Regioni che hanno rifiutato questo vantaggioso accordo!”.

A proposito di Comuni, il caso di Bergamo è significativo perché il sindaco Giorgio Gori, ex dirigente Mediaset, ha  introdotto tre fasce orarie in cui l’offerta di azzardo è vietata (7.30 – 9.30; 12-14; 19-21), ma ha subìto, come lui stesso lo ha definito, “un atto intimidatorio” da parte della Federazione dei tabaccai che, con Lottomatica, lo hanno citato in giudizio davanti alla Corte dei Conti chiedendo 7,6 milioni di danno. Eppure anche Gori si mostra favorevole alla proposta governativa. Cosa dobbiamo concluderne?

Che – quanto meno – Gori non ha proprio in chiaro gli obiettivi da raggiungere. O che gli sfuggono alcuni elementi determinanti di come funziona la dipendenza da gioco e l’arruolamento dei giocatori.

In realtà, a ben guardare, il sindaco di Bergamo nel suo regolamento tanto osannato (che proprio per questo rischia di venire preso a modello anche da altre amministrazioni disattente…) ha escluso dalle restrizioni il bingo cittadino.

Non solo perché magari lo collocava in una road map temporale per raggiungere progressivamente obiettivi crescenti (oggi ci occupiamo di slot, vlt, scommesse su competizioni ippiche, sportive e su altri eventi; lotterie istantanee su piattaforma virtuale e/o con tagliando cartaceo – gratta e vinci, 10 e lotto, eccetera-, ma domani penseremo ad altre tipologie di offerta, come il bingo appunto), quanto piuttosto perché lo ha magnificato in un pubblico documento, deliberato da una amministrazione comunale. Si legge infatti a pagina 3 del Regolamento: “E’ escluso dalla regolamentazione in oggetto, il gioco del bingo (sostitutivo del tradizionale gioco della tombola), all’interno del quale si ritiene che l’elemento preponderante della condivisione dell’esperienza del gioco con i compagni di tavolo abbia un valore socializzante non presente nei giochi effettuati individualmente”.

Sostitutivo del tradizionale gioco della tombola? Un valore socializzante? Simili affermazioni lasciano quanto meno perplessi.

(domani sarà pubblicata la seconda parte dell’intervista)

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