Azzardo e pubblicità: primo passo per buttare giù il sistema

L’obiettivo resta sempre il divieto totale e assoluto di pubblicità, in ogni forma. Il governo ha fatto una prima mossa. Al parlamento spetta il compito di proseguire. Alla società civile la responsabilità di insistere. Ma chi ha impedito che le regolamentazioni tecniche sui giochi passassero dai Monopoli al ministero dell’Economia? Intervista a Marco Dotti, redattore di Vita
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È necessario parlare con Marco Dotti, redattore di Vita, per allargare gli orizzonti che la vicenda dell’azzardo rivela in Italia.  Dopo la mancata abolizione della pubblicità ipotizzata nella legge di stabilità, serve ancora l’impegno di cittadinanza attiva? Dotti ha seguito e documentato tutto l’iter della discussione. Chiediamo il suo parere in merito  

 

Il limite alla pubblicità deciso nella legge di stabilità è un compromesso accettabile, secondo alcuni. Ma non  rischia di smorzare l'indignazione che alimenta il movimento anti azzardo? Non è meglio paradossalmente esporsi al peggio per arrivare al divieto assoluto come reazione di indignazione? 

«Credo non si possa in alcun modo parlare di compromesso, perché per fare un compromesso bisogna che le parti che si accordano siano almeno due. Qui nessuno si è accordato con nessuno. Il parlamento ha inteso dare la sua proposta, il governo la sua, le due proposte parzialmente divergono, ma una non annulla l’altra. Anzi, proprio perché quella del governo non soddisfa a pieno la richiesta della società, va fatta un’azione politica per far sì che l’altra, quella del parlamento, metta i puntini sulle “i”. D’altronde, un vecchio commentatore di Hegel ricordava che sovrano è proprio chi sa mettere i puntini sulle “i”. Tracciare una “i” è molto, ma solo il punto la rende diversa da una banale linea verticale.

 

Cerchiamo di mettere, allora, qualche puntino anche noi….

«Le premesse di quello che si è realizzato nella norma che vieta parzialmente la pubblicità, ma estende  il divieto in una fascia oraria  molto ampia (7-22) stanno non in un compromesso, ma in un fallimento. Il fallimento della delega che il Parlamento, lo scorso anno, consegnò al sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, il quale, da par suo, anziché dare concretezza a quei divieti che il parlamento gli chiedeva – divieti tra l’altro molto blandi, ricordiamo che le fasce protette in tv erano poco più che simboliche – cercò di far passare ben altro nel documento che poi lo stesso Governo ha lasciato decadere. Questa premessa è necessaria per capire che non c’è alcun compromesso, né mai ci sarà».

 

Se non esiste il compromesso, di cosa stiamo parlando?

«C’è una situazione che chi doveva contribuire a sbrogliare ha invece aggrovigliato ancora di più. Per noi, che i nodi li vorremmo recidere e non giochicchiarci su, l’obiettivo resta lo stesso: divieto totale e assoluto, in ogni forma. Il governo ha però capito che non poteva eludere a lungo il problema e ha fatto la sua mossa. Al parlamento spetta il compito di proseguire con il disegno di legge che chiede il divieto totale e assoluto. Alla società civile spetta il compito di insistere. L’onere e l’onore di non smorzare la propria azione pesa e spetta ai movimenti stessi. Se la meta è chiara – divieto totale e assoluto di pubblicità – prima o poi ci si arriva. Non si tratta a mio modesto avviso di mantenere tassi più o meno altri di indignazione, ma di mettere in campo percorsi e scelte di dignità».

 

Era possibile chiedere il divieto assoluto dentro l'orizzonte culturale e politico attuale? Cosa impedisce, secondo te, al di là dei gruppi di interesse, un cambio di mentalità?

«Non solo era possibile, era doveroso. A impedire il cambio di paradigma è soprattutto un fattore qualitativo-culturale che investe un po’ tutte le parti in causa. Ma la maggiore responsabilità grava sulle spalle di quei politici che hanno tentato in ogni modo che non si arrivasse nemmeno a quel poco a cui si è arrivati, facendo ostruzionismo o tirando le cose per le lunghe». 

 

Quali sono gli altri aspetti decisi con la legge di stabilità che meritano un approfondimento?

«Un punto mancante: chi non ha voluto che le regolamentazioni cosiddette “tecniche” sui giochi passassero dai Monopoli al ministero dell’Economia? La norma era stata inizialmente inserita in legge di stabilità: avrebbe marcato una differenza e l’avrebbe fatta finita con gli alibi della politica schiava delle procedure decise non si da dove né come né da chi. Il decisore se è tale deve decidere, apertamente e guardando tutti negli occhi. Altrimenti è solo un esecutore, politicamente parlando. Perché il sottosegretario Baretta ha espresso parere contrario all’emendamento-Basso che reintroduceva questa norma in stabilità? Ecco, io approfondirei questo punto. Perché in questo “no” ci sono le premesse di ciò che accadrà, qualsiasi cosa accadrà».

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