Azzardo, Costituzione e multinazionali

Il modello della legalizzazione adottato in Italia, con l’affidamento alle multinazionali del settore, mostra un’evidente incoerenza con il dettato costituzionale. Esistono alternative. Intervista dialogo con Marco Dotti
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Con Marco Dotti, autore di indagini approfondite sulla questione dell’azzardo, arriviamo dopo una lunga analisi al nodo del problema rimosso, di solito, nei dibattiti: È costituzionalmente coerente affidare ad una multinazionale la gestione dell'azzardo? Secondo l’articolo 41, oggetto di frequenti attacchi da parte del mondo imprenditoriale, «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

Non esiste un altro modo per gestire il cosiddetto gioco d’azzardo alternativo alla gestione pubblica e a quella delle grandi società?

«Non solo una terza via esiste, ed è il modello usato da certi paesi – es. la Finlandia – ma è pure una via su cui l'Unione europea non ha trovato nulla da ridire in termini di "apertura alla concorrenza".  Non sto proponendo alcun modello, mi limito a osservare che il modello finlandese, suggerito negli scorsi mesi come virtuoso proprio dagli operatori privati, anche grazie a una divulgazione a dir poco “esotica” – chiamiamola così – passata sulle reti del servizio pubblico, tutto è fuorché un servizio funzionale a quegli operatori privati. Io mi limito a prendere sul serio le parole dei nostri dirimpettai e a verificarle sul campo e sul campo le cose sono sempre più complesse di come uno le immagina».

Cosa emerge nel modello finlandese che piace così tanto alle aziende del settore?

«Nello specifico, mi sono chiesto se le lobbies italiane non hanno guardato bene cosa accade in Finlandia, dove vige un sistema monopolio legale in senso stretto, oppure intendevano concentrare l’attenzione su un altro punto ben presente lassù, al fine di orientare la discussione quaggiù: il legame – che in Finlandia è fortissimo – tra welfare, scuola e azzardo».

Che tipo di logica vogliono seguire?

«La logica è, grosso modo questa: “Se in Finlandia funziona tutto a meraviglia. Se questa meraviglia di stato sociale è finanziata con l’azzardo di Stato, allora destiniamo una parte della tassazione che lo Stato italiano ci richiede per finanziare welfare, cura, assistenza, così le cose andranno meglio anche da noi”».

Ma non è il ragionamento ormai imperante?

«Infatti, se osserviamo bene, questa è la logica che torna in forma strisciante, quando si parla di “tassa di scopo”, di “fiscalità particolare”. Legare azzardo e welfare è un modo per non liberarsi più del primo, mettendo un cappio al collo al secondo. E questo in Finlandia lo sanno bene, tanto che la discussione si sta accendendo proprio su un tema: “non vogliamo fare la fine dell’Italia”».  Comunque, tornando all’antinomia legale-illegale, che oggi va per la maggiore nelle strategie comunicative del settore del gambling, va ricordato che nel contesto italiano il gioco illegale è anche una conseguenza della domanda drogata che si è venuta a creare in questi ultimi anni. Chi, nel XIX secolo (da Balzac a Matilde Serao), parlava di oppio della miseria a proposito dell’azzardo non si è sbagliato. Non la religione è l’oppio dei popoli, ma l’oppio è diventato infatti la religione dei popoli».

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