Azione di pace nonviolenta in Ucraina

In partenza Stop the War, la missione di pace in zona di guerra promossa da un gran numero di realtà italiane che hanno raccolto la proposta della Comunità Papa Giovanni XXIII per portare aiuti, evacuare le persone più fragili e chiedere il cessate il fuoco immediato.
Pace in Ucraina Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Partono il 31 marzo delegazioni da diverse città italiane per darsi appuntamento la mattina presto del primo aprile sul confine orientale del Paese per l’inizio di una carovana di mezzi che porterà 200 persone in Ucraina in una missione di pace che si è data il nome di “Stop the war-facciamo la pace!”.

Partono in 200 su un totale di un migliaio di persone disposte a muoversi per andare in Ucraina con pulmini in parte vuoti per accogliere chi si trova in zona di guerra e ha difficoltà a spostarsi per ragioni di malattia o altra fragilità. Si incontreranno con le realtà della società civile ucraina con le quali già esiste un rapporto, da rinsaldare e far crescere, in un mondo che appare sempre più determinato allo scontro armato.

Portano con sé 200 tonnellate di aiuti, per un valore di circa mezzo milione di euro, come tante organizzazioni e associazioni già fanno nell’ambito dell’attività umanitaria che vede l’Italia sempre in prima fila per generosità e partecipazione, ma la carovana, che parte su proposta iniziale dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, ha un valore politico di azione nonviolenta condivisa poi da circa 800 associazioni grandi e piccole.

Rappresentano quel mondo che comunemente viene definito “pacifista”, ma che, più correttamente, esprime un ripudio radicale della logica della guerra con tutto l’apparato di giustificazioni che portano, di fatto, a buttare soldi nelle industrie degli armamenti esponendo la popolazione al macello.

Una radicalità di posizione espressa senza sosta e rispetto umano, dal soglio di Pietro, da papa Francesco che si spoglia di ogni insegna di potere e di prudenza per finire relegato sulle pagine marginali dei media o confinato tra le istanze morali che poco hanno a che fare con il realismo politico invocato di solito a favore della guerra definita, invece dal papa, come follia, pazzia ossessiva.

Alienum est a ratione: fuori dalla ragione e quindi da ogni realismo secondo la definizione della “Pacem in terris”, l’enciclica del 1963 di papa Giovanni XXIII che segna un solco non più valicabile all’indietro nel cammino della Chiesa nella comprensione del messaggio evangelico. Si comprende perciò perché proprio da questo papa bergamasco di origini contadine tragga il nome l’associazione Apg23 (sigla per dire Associazione comunità Papa Giovanni XXIII) che ha proposto la missione in Ucraina grazie ad anni di esperienza di interposizione nonviolenta nelle zone di conflitto nel mondo con l’Operazione Colomba. Sono convinti che l’Italia dovrebbe creare un ministero della Pace per sostenere questo tipo di interventismo nonviolento con corpi civili capaci di impedire e prevenire la guerra.

Un’istanza che può apparire decisamente ingenua se si ha minimamente idea dell’apparato culturale e politico che sostiene, invece, il riarmo del nostro Paese nell’ambito della Nato e in linea con la crescita delle spese militari mondiali arrivate a 2 mila miliardi di dollari l’anno.

Proprio mentre è in partenza la missione civile “Stop the War” si consumano le ultime schermaglie interne al governo di larga maggioranza di Draghi per arrivare ad un accordo sull’aumento progressivo della spesa in armamenti, mentre è in discussione al Senato una norma meno nota che porta a sgravi fiscali in questo settore.

Ad uno sguardo disincantato può quindi apparire generosa, poco incisiva e comunque pericolosa una missione disarmata della società civile nonviolenta in Ucraina, anche se arriverà in una zona lontana dai combattimenti più accesi.

Il termine di paragone, e l’esempio più vicino, di questa carovana di pace resta quella compiuta da 500 pacifisti che raggiunsero nel 1992 la città di Sarajevo sotto assedio, in quella martoriata ex Jugoslavia che ha segnato la crisi dell’Onu come istituzione internazionale creata dopo il disastro delle due guerre mondiali per prevenire ogni futuro conflitto armato nella consapevolezza dell’autodistruzione dell’umanità possibile con l’invenzione e l’utilizzo dell’arma nucleare.

Come ci ha narrato Rosa Siciliano, quella marcia disarmata nel mattatoio balcanico fu ispirata da Tonino Bello, vescovo profetico del movimento Pax Christi, come azione dell’Onu dei poveri e dei popoli in assenza di quella sempre più necessaria presenza attiva ed efficace delle Nazioni Unite.

Dopo 30 anni, oggi, nel 2022, questa carovana di automezzi, che raduna un variegato mondo della pace della società italiana, è mossa dalla stessa tensione e finalità di costruzione di un mondo più giusto che non resti ostaggio della scelta obbligata delle armi. Lo è fin dal suo inizio il piccolo Movimento nonviolento che partecipa alla marcia e che in questo mese di guerra ha mantenuto i rapporti con gli obiettori di coscienza russi e ucraini sostenendoli nella loro disobbedienza alla coscrizione militare. Guidati da Mao Valpiana, i rappresentati di tale movimento fondato da Aldo Capitini, un laico spesso in polemica con la Chiesa degli anni ‘50, sono stati ricevuti in udienza mercoledì 30 marzo da papa Francesco al quale hanno consegnato la dichiarazione di obiezione alla guerra che invitano a firmare in questi giorni.

Tra i 200 in marcia c’è anche Sergio Bassoli, coordinatore della Rete italiana pace e disarmo, che già all’indomani della marcia del 5 marzo a Roma ci aveva espresso in questa intervista l’intenzione di partire per l’Ucraina per dare seguito ad una scelta di nonviolenza attiva.

Come riporta Monica Di Sisto, dell’agenzia Asknews e collaboratrice di Comune.info, in partenza anche lei stessa con la carovana di pace, le realtà coinvolte sono imponenti come numero: «ci sono le organizzazioni cristiane come la Focsiv, la Comunità Papa Giovanni XXIII e Pax Christi, la Pro civitate christiana di Assisi, i Comboniani, il Cipax, i Focolari e i Beati i costruttori di pace; poi la Cgil e i coordinamenti laici come l’Associazione delle Ong italiane con Arcs, Arci, Un ponte per, Fairwatch, il Cospe di Firenze, Libera e il Gruppo Abele, gli ambientalisti di Extinction Rebellion e Legambiente. Ci sono le realtà dell’accoglienza come Mediterranea, Arci Solidarietà e Mare aperto. Poi media come Radio Popolare, Italia che Cambia e Comune info e tanti altri ancora. Al momento, tra realtà organizzate e singoli si contano oltre 800 adesioni che vanno dal contributo economico, al mezzo, agli aiuti materiali fino alla presenza fisica».

Nel testo dell’appello integrale della marcia consultabile sul sito web che è stato costruito per seguire l’iniziativa, si può cogliere il  messaggio politico da parte di questa parte di società italiana in movimento verso l’Ucraina:  «Nel chiedere che si proclami immediatamente il cessate il fuoco, che si dia spazio alla diplomazia internazionale e alle Nazioni Unite per la risoluzione della controversia e che si consenta subito alle organizzazioni umanitarie internazionali di intervenire, ognuno di noi può fare qualcosa di più e di concreto per fermare questo scempio».

Come Città Nuova saremo in contatto diretto in questi giorni con tante di queste realtà coinvolte nell’iniziativa e in particolare con Giulio Boschi e Marco Reguzzoni del Movimento dei Focolari Italia, in viaggio con partenza dall’Emilia Romagna. Oltre al livello italiano dei Focolari aderisce all’iniziativa Stop the War anche la Ong New Humanity che rappresenta il Movimento sul piano internazionale.

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