Avvisaglie di offensiva nella guerra in Ucraina
Non si saprà mai, almeno nel breve termine, chi ha provocato l’esplosione sopra il Cremlino, nella notte tra il 2 e il 3 maggio, un episodio che pare proprio firmato da agenti dei servizi segreti, non si sa se russi o ucraini. Nessuno, ovviamente, si assume la responsabilità dell’accaduto, la menzogna è il linguaggio della guerra, la segretezza la sua arma.
La controinformazione è all’opera a proposito di altri luoghi di frizione sul fronte del Donbass: Bakhmut, Zaporizhiza, Kherson… Che sta succedendo? Chi sta vincendo? Chi si sta ritirando? Chi pesca nel torbido? I bombardamenti russi nell’Ucraina profonda sono ripresi a raffica: i fondi di magazzino dei missili degli arsenali russi paiono senza fondo.
Sul fronte opposto, filtrano notizie di difficile decifrazione, parlano dell’imminente inizio della tanto attesa riconquista dei territori russi occupati dai russi nel febbraio 2022, se non addirittura quelli occupati nella prima guerra del Donbass, quella del 2014. Per non farci mancare nulla, Kyiv colpisce obiettivi militari anche in Crimea, tanto per far capire ai russi che nessun territorio che era entro i confini ucraini nel 2014 potrà essere ceduto alla Russia da un eventuale trattato di pace.
Intendiamoci, nella grande propaganda bellica siamo nella fase di preparazione alla madre di tutte le battaglie, che, forse, sarà quella decisiva, ma il cui esito appare assolutamente incerto. Ai 100 mila nuovi soldati russi, sembra che l’Ucraina ne opponga 40 mila, presi tra le riserve che sono ovviamente meno numerose di quelle russe. Carne da macello, in ogni caso.
La diplomazia, nonostante quel che sembra, continua a lavorare, c’è, non solo all’interno dei due Paesi in conflitto, ma soprattutto all’estero, perché la guerra crea danni nel mondo intero. Anche la Cina – pare denso di dati positivi il colloquio via telefono tra Xi e Zelensky – e l’India non paiono più disposte a tollerare più a lungo la guerra dei loro alleati russi, che viene sempre meno condivisa nelle sue motivazioni e nei suoi sviluppi.
Ma la speranza sembra venga soprattutto da gruppi della società civile che non accettano più lo stato di fatto: sono cittadini ucraini e russi che, abitando all’estero, stanno lavorando per lo scambio di prigionieri, l’attenuazione delle sanzioni, la partenza dei bastimenti di grano verso i mercati più poveri, forse su una tregua, comunque primi passi necessari per arrivare a un trattato, poi alla riconciliazione, quindi alla pace e, se possibile, al perdono.
Ma non siamo ancora lì, siamo solo ai prodromi della pace che, probabilmente, passeranno all’operazione più o meno tra due-quattro mesi, quando si capirà meglio qual è la situazione sul fronte della battaglia.
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