Avvincente Attila di Verdi a Bologna

La nuova stagione del Teatro Comunale si è aperta con l’opera fra le più interessanti di Giuseppe Verdi nel segno dell’antica drammaturgia. Un lavoro sintetico, mosso, dove l’orchestra non funge da grande chitarra accompagnatrice ma interviene, commenta e suscita quelle ondate appassionate di melodia che scendono al cuore
attila

Sembra un guerriero barbaro e incivile, desideroso di sangue, ma resta in fondo un uomo innamorato, sorpreso quando si vede tradito da Odabella, nuova Giuditta italica contro l’invasore. Certo gli uomini in questa opera verdiana – un prologo e tre atti su libretto di Solera ritoccato, a suon di letteracce da parte del Maestro, da Piave – sono o traditori opportunisti come il romano Ezio o ardenti più d’amore che di slancio patriottico come Foresto, innamorato di Odabella. Sullo sfondo, Aquileia distrutta dal barbaro, la congiura contro di lui, l’incontro con papa Leone Magno.

Il libretto è quello che è, ma Verdi lo porta alla fine con il ritmo incalzante che gli è proprio, soprattutto, in questi anni” giovanili”, puntando a cori ora saltellanti ora mesti e in particolare a furenti cabalette o a duetti “di forza”. Ne risulta un lavoro sintetico, mosso, dove l’orchestra non funge da grande chitarra accompagnatrice ma interviene, commenta e suscita quelle ondate appassionate di melodia che scendono al cuore. Ciò è evidente nei concertati: qui se Rossini trasporta l’onda sonora in una dimensione di vasta luce, Verdi invece la fa “crescere” fino a farla esplodere nel cuore e nell’anima a prendere tutto l’ascoltatore, spirito e sensi con una profonda dose di umanità. Ritmo, passione, e tenerezza.

Bisogna dire che Michele Mariotti, 36 anni, Direttore Musicale del Teatro Comunale, spinge sul pedale del pathos e lo rallenta allargando il cuore melodico al punto giusto, sostenendo l’orchestra verso una dinamica emotiva, sonora e ritmica che realizza l’animus passionale di Verdi. Osservandolo nel rapporto con gli orchestrali in buca e con i cantanti in palcoscenico si nota la preparazione, l’attenzione meticolosa al dettaglio, il senso drammaturgico e insieme la bellezza del suono: ogni sezione è piena di calore, ne esce un timbro” umano”, tipico dei complessi bolognesi ed uno slancio giovanile(l’orchestra conta numerosi giovani). Il cast era ben assortito. Il soprano Marua Josè Siri ha voce possente, virtuosismo funambolico, recitazione convincente; Ezio, Simone Piazzola, possiede la voce torrentizia e calda di un baritono verdiano,  che però non dovrebbe usurare anzitempo in troppo lunghe “corone”; Attila ha la prestanza nobile  e la voce armoniosa di Ildebrando D’Arcangelo che nell’ultima recita è stato sostituito in parte dal basso Riccardo Zanellato, potente e melodico.

 Molto ben istruito il coro.

E veniamo alla regia di Daniele Abbado che ha puntato giustamente ad una unica scena fissa con tendaggi semoventi, figuranti mobili, e costumi atemporali – quasi da film di guerra contemporanei – efficaci, rispettando i valori musicali che ben conosce,  così da costruire uno spettacolo visivamente equilibrato. Grande successo di un pubblico partecipe in teatro dalla squisita acustica, particolarmente adatta per le voci.

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