Avanti con lo sport

Cosa è successo allo stade de France in contemporanea con agli attentati? La decisione di terminare regolarmente la partita. Sport e vita devono continuare, con i loro valori
Allo stadio di Parigi dopo l'attentato

Parlare di sport dopo gli attentati di Parigi diventa, se non apparentemente inopportuno, per lo meno difficile. Ma poiché tra gli obiettivi terroristici vi è proprio quello di destabilizzare proprio una quotidianità serena che possa contare anche sulla libera espressione di credo, arte, musica, sport, probabilmente diventa ragione di reazione anche continuare a praticare, programmare e discutere lo sport. Certo, a pochi giorni dalla disumana strage francese, non possiamo non ripartire da quella sera, dato che proprio da una partita di calcio la strategia della tensione firmata Isis ha preso vita.

 

Allo Stade de France, enorme impianto da 81.000 posti nella periferia nord di Parigi, quartiere di Saint-Denis, si sta giocando l’amichevole Francia-Germania, scontro di lusso tra due pretendenti al titolo dei prossimi campionati europei previsti a Giugno del 2016 che proprio in Francia avranno luogo: uno, due, tre esplosioni nell’arco della gara, dopo le 21.30, fanno tremare lo stadio e le ovvie sicurezze dei francesi.

 

Ben tre attentatori si fanno esplodere nelle vicinanze dello stadio: i boati si sentono anche all’interno ma la partita si conclude regolarmente dopo 90 minuti, con la vittoria della Francia per 2-0, attorno alle dieci e mezzo di sera, quando la notizia degli attentati è già diffusa per la città ma pochi dentro allo stadio sanno cosa stia succedendo: tra questi, i due allenatori, Joachim Löw e Didier Deschamps, che però decidono di non dire niente ai giocatori.

 

Il presidente Hollande era stato allontanato e portato al sicuro dagli uomini della sicurezza durante l’intervallo, ma saggiamente aveva fatto proseguire l’incontro dopo una prima interruzione di pochi minuti: in questo caso, a muovere la decisione non era stato un insensibile “the show must go on”, ma la consapevolezza che un invito a lasciare lo stadio per non meglio precisati motivi di pericolo, e men che meno per attentati in corso nella capitale, avrebbe indotto al panico più incontrollato decine di migliaia di persone, con conseguenze gravissime del tutto imprevedibili per l’incolumità di molti.

 

Decisione avveduta e probabilmente salvifica per tantissimi, curiosamente coerente con il ricordo di un tragico avvenimento nel frattempo rammentato quella stessa sera, a Bruxelles, dove era impegnata la nostra Italia in amichevole contro i quotatissimi padroni di casa belga, attualmente primi nel ranking mondiale.

 

Un amichevole giocata in particolare ricordo dei 39 morti dello Stadio Heysel: la FIGC aveva deciso che la trasferta di Bruxelles servisse anche da doverosa memoria per chi, in quel 29 Maggio 1985, era morto in circostanze tragicamente assurde e simili, travolto da panico e calca proprio in quello stadio, oggi ristrutturato e noto con il nome di “Re Baldovino”. Avremmo probabilmente dovuto raccontarvi della memoria di quegli eventi, degli errori che li causarono, dell’incuria e della superficialità di organizzatori e autorità, di quell’orda barbarica passata alla storia con il nome di “Hooligans” che si abbatté su spettatori innocenti, inermi come quelli morti all’esterno dello stadio per l’esplosione delle cinture imbottite dei kamikaze fermati ai tornelli, intenzionati per il piano ordito ad accedere fin dentro le tribune.

 

L’applauso di tutto lo stadio “Re Baldovino” al minuto 39 di Belgio-Italia, accompagnato dalla comprensibile commozione di chi era presente, sembrava il più bel capitolo di una serata di grande calcio, resa poi invece surreale dalle notizie che arrivavano da Parigi. Per un'altra macabra similitudine, per la cronaca, il Belgio risulta essere anche paese di residenza di alcuni tra i terroristi autori delle stragi.

 

Secondo diverse testimonianze, gli spettatori dello Stade de France avevano scambiato le esplosioni per petardi, avendo una reazione più simile a eccitazione o fastidio. A fine gara, la decisione di chiudere gli accessi, date le strade fuori controllo, anche se alcuni spettatori erano riusciti a lasciare lo stadio. Fra di loro il famoso procuratore italiano Oscar Damiani, che alla Gazzetta dello Sport ha raccontato di aver lasciato lo stadio prima della fine: «Ci avevano detto che le porte erano chiuse, ma ne ho trovata una aperta e sono scappato via: non so come, ma ho avuto la fortuna di trovare un taxi e sono scappato in albergo, mentre tutta Parigi era in preda alla pazzia. Per strada non c’era niente: né persone, né macchine».

 

Finita la partita, molti, si sono riversati sul terreno di gioco, a notizia ormai diffusa: evacuati poi nel giro di qualche ora, non pochi hanno lasciato l’impianto cantando la Marsigliese. Perché nonostante tutto, proprio per reagire alla barbarie, lo sport e la vita devono andare avanti a partire dai loro più profondi valori, in unità e senza paura.

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