Auvers-sur-Oise, Van Gogh e gli scioperi
Mentre la Francia vive momenti di alta tensione politica e sociale, una visita nel paese che ospita le spoglie di Van Gogh (a cui Roma dedica in queste settimane una mostra importante) può insegnare il senso della misura. Si era nel 1993.
La chiesa di campagna immortalata dal pittore fiammingo negli ultimi squarci della sua tormentata carriera d’uomo si erge nella modestia contadina, così simile al dipinto eppure così diversa, quasi meno reale della copia. Potenza dell’arte, potenza dell’immaginazione! Controvoglia salgo i quattro materiali scalini della parrocchiale, che subito m’appare deturpata nella sua semplicità architettonica dal solito armamentario dei curati: annunci libretti rosari questue riviste.
Immaginavo di potere incontrare sotto le volte neogotiche un vecchio sacerdote senza più forze né illusioni che mi scaldasse il cuore, come a Emmaus; che mi ascoltasse calmo e amoroso, come al pozzo di Samaria; che mi capisse acuto e misericordioso, come l’angelo del sepolcro vuoto; che mi rimproverasse con un drammatico: «Mi ami più di costoro?».
Ci sono giorni così. Il prete appare sul serio, ma giovane e dinamico, scattante come una cavalletta, preoccupato che tutto funzioni alla perfezione per la cerimonia che comincerà di qui a poco. Non mi degna ovviamente di uno sguardo. Meglio così. Meglio emigrare da questa chiesa, quest’oggi chissà perché senza Santissimo. Chissà dove l’hanno nascosto, quasi che ci si dovesse vergognare della sua presenza.
Sono giorni blu, come il cielo che avvolge le arcate schizoidi del folle d’Anversa, pazzo per amore. Dietro la chiesa, oltre un prato ubriaco di ranuncoli, giacciono le tombe dei due fratelli Van Gogh, Vincent e Théo, legatissimi in vita, uniti nella stessa terra mortuaria. Altrove la gente si slancia accecata sulle orme dell’uomo che da vivo non vendette nulla; Van Gogh Museum, Moma, Héremitage e Musée d’Orsay rigurgitano di gente assetata di vedere, ingoiare e digerire in pochi minuti le sue pennellate geniali. Senza grande successo, domani un Cezanne o un Michelangelo pubblicizzati prenderanno il posto del fiammingo, in una confuzione da supermercato dell’arte.
Auvers-sur-Oise gode invece della pace dello spirito. Cosa valgono le ceneri di un pittore, anche del più grande? Polvere. Van Gogh, eunuco della vita. Ma le sue ceneri sono avvolte da un fitto cuscinetto di edera silenziosa. Un capolavoro di divina semplicità, che Vincent avrebbe certamente approvato.
Van Gogh ha sperimentato l’eterna assurdità di riconciliare il mondo col suo Dio. Ha ricominciato cento volte. La centunesima gli fu fatale. Ma, ne sono certo, nell’agonia, avrebbe voluto ancora ricominciare. Il sangue nero di polvere da sparo glielo impedì.
(dal blog di Michele Zanzucchi)