Autunno, stagione decisiva
Dove e perché i prossimi mesi potranno essere motivo di conflitto sociale.
Proprio a metà ottobre, quando si terrà, a Reggio Calabria, la Settimana sociale dei cattolici italiani, intenta a costruire un’agenda di speranza per l’Italia, è prevista il 16 ottobre, a Roma, la manifestazione nazionale promossa dai metalmeccanici della Cgil, sul «lavoro come bene comune». Quest’ultima rappresenta il segnale più forte di un autunno che molti prevedono “caldo”.
Nel Paese cresce la diseguaglianza, i salari medi sono tra i più bassi nel mondo industrializzato secondo i dati che ogni anno l’Ocse ribadisce. Migliora la raccolta del settore bancario dedicato ai grandi capitali, assieme, tuttavia, alla diffusione delle finanziarie specializzate nel prestito a tassi che si avvicinano ai valori usurai.
Ma vediamo alcuni “luoghi sociali” dove potrebbero nascere motivi di scontro.
Scuola e precari
Con l’inizio dell’anno scolastico sono venute in evidenza le conseguenze della riorganizzazione dell’istruzione definita dal ministro Gelmini, tra cui, in primo luogo, l’esclusione, di fatto, dal lavoro di circa 220 mila persone, tra docenti e amministrativi. Nel 2008 erano scesi in piazza migliaia di studenti e professori, ma l’azione del governo non ha subìto tentennamenti grazie al sostegno di una vasta maggioranza parlamentare. Si registrano, ora, gesti di dissenso fino a forme estreme di sciopero della fame o ad azioni simboliche come il blocco temporaneo dello stretto di Messina.
Una condizione diffusa in ogni settore, quella del precariato, che non riesce, finora, ad esprimere una posizione comune.
Fine cassa integrazione
La crisi finanziaria iniziata nel 2007 ha portato ad una forte lievitazione dell’utilizzo della cassa integrazione da parte delle imprese: 826 milioni di ore richieste all’Inps nei primi otto mesi del 2010 (+ 60 per cento sullo stesso periodo del 2009). Il ricorso alla cassa è, spesso, un effetto tipico della globalizzazione: l’attività si sposta oltre frontiera lasciando i dipendenti senza lavoro. L’integrazione salariale assicura sì un rimedio contro la povertà immediata, ma non per i precari. Dovrebbe essere transitorio, in attesa della ripresa, ma i tempi si allungano richiedendo ulteriori finanziamenti allo Stato. L’ultimo è stato inserito nella Finanziaria 2008 per 8 miliardi di euro. Così, entro fine anno, mezzo milione di persone potrebbero perdere questa indennità senza tornare al lavoro e senza andare in pensione.
La vertenza delle vertenze
Ma il conflitto destinato ad avere effetti di carattere più generalizzato nel mondo del lavoro è quello che vede contrapposta la Fiat e il maggior sindacato metalmeccanico, la Fiom, che, tuttavia, rappresenta una minoranza all’interno della stessa Cgil.
L’amministratore delegato della casa torinese si è fatto carico di rappresentare alcune esigenze condivise nel mondo imprenditoriale: per reggere una competizione internazionale, che non conosce regole diverse da quelle del mercato, serve un profondo cambiamento nel modo di lavorare. Questo vuol dire privilegiare l’organizzazione della produzione, azienda per azienda, attenuando il riferimento vincolante a una norma collettiva di garanzia. Percorso che ha già prodotto accordi solo con Cisl e Uil. Per Pomigliano d’Arco, la Fiat ha predisposto una nuova società per assumere solo coloro che accetteranno determinate condizioni di lavoro. Esempio che non potrà che scatenare una serie di ricorsi presso i tribunali del lavoro, oltre a suscitare, in altre imprese, un effetto di imitazione.
C’è un forte timore per la fuga di investimenti delle aziende in Italia, mentre ci si chiede quali limiti possano essere posti alle esigenze imprenditoriali nel complesso quadro della competizione internazionale. La sfida vede il sindacato assente in tanti luoghi di lavoro, e diviso tra cosiddetti “riformisti” e “antagonisti”. E, soprattutto, appare incapace di organizzare una risposta adeguata a livello mondiale o anche solo europeo.
Altre domande riguardano chi debba e possa, secondo le regole, rappresentare tutti i lavoratori, compresi quelli dell’indotto degli appalti e subappalti che continuano a moltiplicarsi.
Il presidente della Repubblica, Napoletano ha invitato a trovare la via di uscita tramite «una seria politica industriale nel quadro europeo».
Un compito di strategia condivisa di medio lungo periodo affidato, in Italia, al progetto “industria 2015”, rimasto, tuttavia, solo sulla carta.
Molto resta da definire, quindi. Non solo le singole vertenze dall’esito incerto ma “come” arrivare a finalità comuni per uscire insieme dalla crisi. L’autunno, appena cominciato, sarà decisivo.