Autostrade, lo Stato e i Benetton

Il nuovo intervento pubblico in Aspi e la gestione dei Benetton fanno emergere uno dei nodi politici decisivi del governo chiamato a gestire le risorse del Recovery Fund
Autostrade. Conte e ministro Gualtieri Mauro Scrobogna /LaPresse

Con una resistenza fisica invidiabile il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha gestito tutta la notte tra il 14 e il 15 luglio la trattativa sul caso autostrade per poi recarsi alle Camere a relazionare sull’imminente super consiglio europeo del 17 e 18 luglio. Davanti alla massa di denaro in gioco con il Recovery Fund europeo si delineano nuove alleanze e strategie che partono, come più volte  evidenziato, dal nodo sul ruolo dello stato nell’economia.

E il caso del monopolio naturale della rete autostradale  è emerso in tutta la sua rilevanza da quando nel 1999 i governi di centro sinistra decisero di privatizzare la società autostradale cedendone il controllo a una cordata guidata dal gruppo della famiglia Benetton, in compagnia con altri soggetti rilevanti del capitalismo italiano (Generali e Unicredit tra tutti).
L’emozione suscitata dal tragico crollo del ponte Morandi di Genova, nell’agosto del 2018, ha reso evidente una lunga polemica che si trascinava sui mancati investimenti in sicurezza e sulla blindatura del contratto di concessione. Ai funerali per le vittime di una tragedia parteciparono i rappresentanti del governo giallo verde (Di Maio e Salvini) applauditi come portatori di una svolta radicale nei rapporti con i Benetton.

La verità giudiziaria su quella rovina deve essere ancora accertata, ma quel fatto ha reso possibile rimettere in discussione la gestione della società autostrade per l’Italia (Aspi) nonostante le differenti visioni presenti nella maggioranza del Conte 2.

Non si è trattato di una revoca unilaterale, ma di un accordo che andrà analizzato bene nei dettagli. Il M5S lo presenta come una vittoria contro i poteri forti, ribadendo il messaggio distintivo di questo movimento che denuncia da sempre di avere contro i “giornaloni”, i grandi media. Che, in effetti, da Repubblica al Corriere, avanzano dubbi sull’operazione che prevede l’entrata dello Stato nel controllo di Aspi tramite Cassa Depositi e Prestiti (una sorta di fondo sovrano che gestisce i risparmi depositati in Poste italiane).

Critiche esplicite arrivano dai giornali del centrodestra che parlano di una operazione costosa per le casse pubbliche sottolineando il dissenso interno ai pentastellati i quali, invece, a cominciare dalla voce abitualmente critica di Alessandro Di Battista, salutano questo risultato come una vittoria.

Sembrano impropri i paragoni abituali con la nazionalizzazione del petrolio imposta in Venezuela da Chavez. Secondo il deputato 5Stelle Pino Cabras , «le autostrade tornano sotto il controllo statale ancorché nella forma indiretta della public company e non con una nazionalizzazione ‘hard’. La sostanza inverte decenni di storia italiana. Metà della maggioranza era molto sensibile alle grida di dolore dei Benetton. E buona parte dell’opposizione, nascosta dietro molte chiacchiere, stava da sempre dalla parte di quella famiglia di oligarchi.  I Benetton usciranno da Autostrade, dove entrerà lo Stato al 51% con Cassa Depositi e Presiti (CDP). Lo Stato sarà il primo azionista di Autostrade», mentre la finanziaria della famiglia veneta «calerà sotto il 10% delle quote azionarie e lascerà la poltrona nel consiglio di amministrazione, e in pochi mesi andrà fuori per sempre da Aspi».

Fonti autorevoli del pensiero liberista come l’Istituto Bruno Leoni evocano il pericolo di un peronismo all’italiana. Al contrario Angelo Bonelli, dei verdi, parla di un pasticcio che favorirebbe il gruppo Atlantia (Benetton) che venderà la propria partecipazione in Aspi a Cassa  Depositi e Prestiti, mentre lo stesso governo ha deliberato «una proroga, senza gara, alla concessione di Aeroporti di Roma, controllata dal gruppo Atlantia, che paga allo Stato 36 milioni di euro a fronte di ricavi per il gruppo di 1,129 miliardi di euro».
Bonelli sottolinea, inoltre, che il governo si appresta a concedere ad AdR (Aeroporti di Roma) l’ampliamento dell’aeroporto di Fiumicino con un’operazione da 18 miliardi di euro che coinvolge i terreni di Maccarese, cioè la più grande azienda agricola italiana ceduta dallo Stato ai Benetton che controllano anche AdR, società privatizzata ceduta ad una cordata capeggiata da Cesare Romiti e ora in mano sempre ad Atlantia.
Dettagli noti che fanno comprendere la complessità nel muovere le leve economiche in un quadro generale segnato da decenni di privatizzazioni. Bisogna, infatti, prestare attenzione agli altri soggetti che potranno intervenire nel capitale di Aspi, oltre al 51% di Cassa depositi e prestiti. Secondo alcuni commentatori la scelta operata dal governo allontanerebbe i grandi investitori mentre il quotidiano economico de Il Sole 24 ore già fa sapere del serio interesse mostrato verso Aspi dal fondo statunitense Blackstone, il gigante degli hedge fund e private equity.

La vera sfida della mano pubblica in Autostrade resta quella di assicurare un serio piano di investimenti in sicurezza e manutenzione, assieme alla diminuzione dei costi del pedaggio. Una quadratura del cerchio che appare possibile solo con una gestione più efficiente e con il taglio dei profitti.

La stessa soluzione avanzata nei confronti di un altro monopolio naturale, l’acqua, al centro dell’applicazione di un referendum che ha previsto la gestione pubblica del ciclo idrico. Un altro tema di divisione nell’attuale maggioranza di governo che è chiamata, comunque, a gestire dossier rilevantissimi, caso Ilva su tutti, che chiedono nuovi interventi del capitale pubblico in grandi aziende in crisi.

Diventa sempre più attuale e ricorrente il riferimento al pensiero keynesiano in questo tempo estremo di crisi. Secondo Giorgio La Malfa, curatore della recente pubblicazione delle opere complete di J.M.Keynes, per poter operare in maniera efficace lo Stato dovrebbe dotarsi, non della Cassa Depositi e Prestiti, ma di due istituzioni: una per la gestione delle risorse del Recovery Fund («quali investimenti finanziare con i soldi dell’Europa»), l’altra per le operazioni di politica industriale, come lo è stato l’Iri, l’istituto per la ricostruzione industriale.

Il discorso si concentra quindi sui 170 miliardi di euro che dovrebbero arrivare in Italia, tra presiti e sussidi a fondi perduto, in base al piano che il Consiglio europeo definirà entro il corrente mese di luglio. Le modalità di gestione di tali risorse rappresentano il criterio per poter comprendere le dinamiche in corso nella ricerca di nuove maggioranze di governo.

Il favore mostrato ad esempio per l’inclusione di Berlusconi in una nuova compagine governativa, avanzata anche da Carlo De Benedetti in procinto di lanciare un nuovo quotidiano, mira a scalzare Conte dalla presidenza del Consiglio, nonostante i sondaggi di gradimento di cui gode. Il tentativo, fallito, del voto sul ricorso al Mes proposto il 15 luglio al Senato dalla radicale Bonino di +Europa serviva a mettere in evidenza le spaccature tra Pd, Iv, Leu e M5S.

Come afferma l’economista Leonardo Becchetti, il ruolo dello Stato è fondamentale quando il mercato fallisce o non basta a realizzare opere essenziali. Ma proprio sulla valutazione della essenzialità delle infrastrutture e il ruolo del mercato si scontrano visioni opposte che è opportuno far emergere su casi concreti, per andare alla sostanza del reale dibattito politico.

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