Autonomia differenziata, il percorso del Ddl Calderoli

Il patto di maggioranza di governo fa prevedere l’approvazione anche alla Camera del disegno di legge fortemente voluto dalla Lega. Gli ulteriori passaggi per rendere operativa l’autonomia differenziata tra le Regioni. Intanto nascono i comitati No AD e autorevoli giuristi prevedono il ricorso alla Corte Costituzionale. Un contributo al Focus di approfondimento promosso da Città Nuova su Autonomia differenziata.
Roberto Calderoli (C), ministro degli affari regionali salutato dai colleghi di governo dopo il voto finale sul Ddl autonomia differenziata nell’aula del Senato, Roma, 23 gennaio 2024. ANSA/FABIO FRUSTACI

Il Senato ha approvato, al voto finale in aula, il disegno di legge 615, proposto dal ministro Roberto Calderoli, relativo all’autonomia differenziata.

Occorre dire che il ministro Calderoli, nel corso degli anni, è diventato uno dei politici più esperti ed attenti in materia costituzionale. Non a caso è stata affidata a lui la concretizzazione del percorso dell’autonomia differenziata.

Si dice che tra i partiti della maggioranza sia stato stabilito un patto. La Lega concede un rafforzamento centralista a Fratelli d’Italia con la riforma costituzionale del premierato, ed in cambio la Lega ottiene una maggiore autonomia per le regioni che le stanno più a cuore.

La richiesta di maggiore autonomia, formulata da Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, ha però generato accese polemiche. L’obiettivo delle Regioni richiedenti, infatti, non è solo quello di poter liberamente regolare le nuove materie richieste, ma chiedono che i fondi regionali siano proporzionati alle tasse riscosse nella specifica regione, ed a tal fine chiedono una quota dei tributi erariali riscossi nel loro territorio.

Il recente ddl 615 Calderoli, che passa ora all’ esame della Camera dei Deputati, se approvato, diverrà la legge sulle procedure per concedere l’autonomia. Autonomia che viene poi attribuita con una specifica ulteriore legge speciale alla singola regione in base ad una successiva intesa.

Il ddl Calderoli, è quindi una legge ordinaria sul procedimento di concessione. In altri termini, manca ancora molto per vedere i primi frutti dei semi piantati, perché il governo dovrà esaminare le richieste fatte dalle regioni e decidere cosa concedere.

Le regioni Lombardia e Veneto hanno fatto una scelta estrema, chiedendo competenze in tutte le ventitré materie in cui è possibile farlo; l’Emilia-Romagna all’epoca (2017) non si è discostata molto, anche se oggi appare più defilata.

In merito alle possibili concessioni, alcune iniziali trattative sono state condotte nel 2019. Ma i testi contenenti le possibili intese Stato-regioni di allora sono segreti (sono pubblici solo i primi articoli generali).

Calderoli ha prodotto nella scorsa primavera una ricognizione delle specifiche funzioni che potrebbero essere regionalizzate. Una lista notevole, perché include circa cinquecento funzioni, sebbene di media importanza. Per citarne una, potrebbero essere regionalizzati anche gli enti che si occupano della sicurezza nei trasporti.

Sono molti, e di diversi schieramenti, coloro che si oppongono a questa riforma, affermando che si tratta di una manifestazione di egoismo delle regioni più ricche, e che verrebbe meno la solidarietà nazionale.

Sono quindi sorti diversi comitati definiti “No AD”. Altre voci contrarie pongono l’accento sulla confusione che si genera, permettendo non solo alle regioni di legiferare, cosa che già è attualmente concessa, attribuendo alle singole regioni materie diverse su cui esercitare i loro poteri. E ciò particolarmente in un contesto che consiglierebbe uniformità normativa almeno sul territorio nazionale, se non in Europa.

Una certa opposizione viene anche dalle Regioni del Sud. E vi è la possibilità, come ha messo in luce il giurista Ugo de Siervo, di un ricorso alla Corte Costituzionale, che potrebbe essere presentato da parte di una o più regioni subito dopo l’entrata in vigore della legge.

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