Autismo e asperger nel cinema e tv
Arriva al cinema un film sulla sindrome di Asperger. Una pellicola italiana dal titolo Quanto basta, del regista Francesco Falaschi. È una commedia, visto che con leggerezza entra nel tema. Già una serie tv recente, l’italiana Tutto può succedere – a sua volta remake dell’americana Parenthood – aveva parlato di un adolescente che viveva con questo disturbo.
In entrambe le serie i momenti drammatici, complessi e anche duri, erano diluiti con altri sapori della vita: con una levità non priva di serenità, allegria e armonia. In entrambe erano raccontate le caratteristiche di una persona con sindrome di Asperger: i suoi comportamenti ripetitivi, gli interessi ristretti e le rigidità, ma anche le limpide qualità e il desiderio di esprimersi. Soprattutto si parlava di una persona di questo tipo, c’era la volontà di raccontarla attraverso un prodotto di intrattenimento popolare. L’estate scorsa, Netflix ha pubblicato una serie dal titolo Atypical, dove il protagonista era un ragazzo con sindrome dello spettro autistico. Si chiamava Sam ed era appassionato di Antartide e maniaco dell’ordine. Aveva «troppe parole incastrate nella testa» – come diceva lui stesso – e una felpa sempre pronta nei momenti difficili. Sua sorella, in un momento di stanchezza si lasciava scappare questa frase: «Sam occupa così tanto spazio che le persone intorno a lui sembra non contino niente». Era uno sfogo, un momento di sincerità in mezzo alla spiegazione e alla difesa, altrettanto sincera, della bellezza di Sam. Perché anche Atypical raccontava i problemi uniti alla voglia di vivere, e persino di innamorarsi, di una persona autistica, o meglio, come spiegava la coordinatrice del gruppo di sostegno frequentato dalla mamma di Sam, «affetta da autismo», perché, continuava la donna, «è sempre bene separare la persona dalla diagnosi».
C’erano, dentro Atypical, diverse frasi e situazioni utili per comprendere: non era rimossa la fatica e la paura di una famiglia di fronte a questa delicata realtà, ma erano mescolate ad altre emozioni, scorrevano in una vita anche meravigliosa, nella sua particolarità. La serie mostrava il modo unico in cui ogni persona si relaziona con quella che «non è una malattia» – altra precisazione preziosa di Atypical – ma una «condizione neurologica». Si percepiva la vitalità di Sam, bravo a parlarci di se stesso in modo informale e ironico. In questo senso anche il film di Francesco Falaschi si fa strumento che dirada gli equivoci e facilità il passo verso la conoscenza dell’argomento. Quanto basta è la storia di Guido (il Luigi Fedele già ammirato in Piuma di Roan Johnson): un ragazzo Asperger portatissimo per l’alta cucina. Ha il palato assoluto, è un fine creativo e per ciò decide di partecipare ad un concorso culinario. Chiederà ad Arturo (Vinicio Marchioni), un ex chef stellato caduto in disgrazia per qualche errore commesso nella vita – e per ciò affidato ai servizi sociali – di fargli da tutor in uno di quei talent come se ne vedono in tv, con tanto di eliminazioni e di giuria presieduta da personaggi mediatici. Nascerà un percorso di conoscenza reciproco in cui Arturo ritroverà se stesso e diventerà gli occhi di noi tutti sulla fertile diversità di Guido, sulle sue esigenze, sulla sua delicatezza, sulle sue ferree abitudini, sulla sua fragilità ma anche sulle sue qualità e sulle sue serrature per nulla impossibili da aprire, se chi è di fronte a lui sa costruirsi le chiavi giuste. Anche in Quanto basta si sorride, e anche qui emerge la persona oltre la sua condizione, il ragazzo oltre i suoi movimenti poco armonici, oltre la sua pelle sottilissima che lascia intravedere un vorticoso movimento interiore. Il suo essere speciale (anche) in senso positivo. La sceneggiatura del film non è impeccabile: il viaggio dei due quasi amici non è originalissimo e non è farcito di dialoghi eccezionali o puntellato da particolari svolte inaspettate. Cinematograficamente rimaniamo sui binari del vagamente godibile, ma la narrazione per immagini, colei che domina il nostro tempo, riesce a entrare dignitosamente e rispettosamente in questo terreno poco battuto e scivoloso, complesso ed ampio, facendolo con un linguaggio popolare, leggero ma al contempo votato al realismo. Sorridere è possibile dove esiste una relazione, e perciò Quanto basta e le serie recenti che parlano di autismo e Asperger (vedi anche Community la serie in cui un personaggio, senza esplicitarlo, mostra i sintomi della sindrome di Asperger) segnano un passo in avanti verso l’accoglienza e la comprensione di questo tipo di disagio mentale, il quale, è bene precisarlo, ha una forbice di casi molto ampia, tant’è che si parla di autismo ad alto e basso funzionamento. Certi prodotti narrativi contribuiscono a diminuire il rischio che ognuno di noi, nel proprio piccolo, finisca per somigliare al padre di Guido, il protagonista di Quanto basta, visto che in un dialogo con Arturo il ragazzo racconta di suo padre che se ne andò quando lui era piccolo: «Ma lo sapeva che eri Asperger?» Chiede Arturo a Guido. «No, lui pensava che fossi scemo», risponde seccamente e tristemente il ragazzo appassionato di cucina.