Auschwitz, le conseguenze più estreme dell’odio

Quest'anno ricorre l'80esimo anniversario della liberazione del campo; e in questo mese di aprile diverse zone del Nord Italia stanno ricordando la liberazione della propria area dall'occupazione nazista, nel percorso che porterà a ricordare gli ottant'anni dalla fine della guerra nel nostra Paese il 25 aprile. In un momento in cui in tante parti del mondo prevalgono la violenza e l'uccisione indiscriminata di popoli e comunità, la memoria storica è una necessità e una responsabilità sociale.
Uno degli ingressi del campo di concentramento di Auschwitz, con la scritta "Il lavoro rende liberi" (foto Veronica C. Ramos)

«La nostra generazione è realistica, perché abbiamo imparato a conoscere l’essere umano per come è realmente. Dopotutto, l’essere umano è quell’essere che ha inventato le camere a gas di Auschwitz; ma è anche quell’essere che è entrato in quelle camere a gas in piedi, con il Padre Nostro o lo Shema Yisrael sulle labbra». Questo è stato scritto dal neurologo, psichiatra e filosofo ebreo Viktor E. Frankl (1905-1997 Vienna), che durante la Seconda Guerra Mondiale trascorse tre anni (dal 1942 al 1945) ad Auschwitz, Dachau e in altri campi di concentramento.

L’uomo alla ricerca di senso. Uno psicologo nei lager fu pubblicato originariamente nel 1946 con il titolo Ein Psychologe erlebt das Konzentrationslager (“Uno psicologo sperimenta il campo di concentramento”). Questo libro è giunto fino a noi come un’opera fondamentale per comprendere cosa ha comportato il genocidio del popolo ebraico, basata sulla testimonianza di uno psicologo che ha vissuto in prima persona l’orrore. Le sue riflessioni ci aiutano a capire come anche nell’ambiente più ostile sia possibile trovare uno scopo nella vita.

L’ho avuto tra le mani quando, qualche mese fa, sono andata a Cracovia con mia sorella e ho potuto fare una visita guidata ad Auschwitz-Birkenau. In passato, questo complesso era diviso in tre aree: Auschwitz I, il campo originario e il centro amministrativo; Auschwitz II-Birkenau, il campo di sterminio; e Auschwitz III-Monowitz, un campo di lavoro forzato associato all’industria tedesca.

Uno scorcio di Auschwitz (foto Veronica C. Ramos)

Il complesso del campo divenne il più importante centro di sterminio della storia moderna. Secondo il museo del campo, vi furono uccise 1,3 milioni di persone, di cui 1,1 milioni erano ebrei. Secondo l’Enciclopedia dell’Olocausto, i campi di concentramento gestiti dalle forze naziste durante l’Olocausto furono in totale 44.000. Questo genocidio costò la vita a circa 6 milioni di ebrei. Il resto delle vittime furono prigionieri politici, zingari, persone LGTBIQ+, persone con disabilità, ecc.

Con questo contesto storico, se si va in Polonia, fare questa fermata diventa un imperativo morale. La storia dell’Olocausto è una delle più studiate e su cui più si è fatta pedagogia sociale, a causa dello shock che si prova nel venire a conoscenza di tali atrocità. È quindi consigliabile visitare i campi di concentramento per comprendere meglio ciò che vi è accaduto. Tuttavia, non è la stessa cosa leggerne e trovarsi nel luogo in cui è accaduto: è una sensazione che non si riesce a togliersi di dosso. È anche importante contare su una persona che possa spiegare ciò che si vede.

Avevamo organizzato la visita per il secondo giorno del viaggio, dato che Auschwitz si trova a circa 43 km da Cracovia. Alle 6 del mattino abbiamo lasciato l’ostello per recarci al punto di incontro, dove abbiamo preso l’autobus che ci ha portato lì.

Il giorno prima avevamo già fatto un giro nel quartiere ebraico della città polacca, dove ci avevano spiegato come la popolazione ebraica fosse stata segregata, rinchiusa in un ghetto e infine deportata nei campi di concentramento e di sterminio. Ci siamo trovati nella stessa piazza in cui sono state effettuate queste selezioni, che oggi si chiama Piazza degli Eroi del Ghetto, in quanto è stata trasformata in un memoriale.

Le baracche di Auschwitz (foto Veronica C. Ramos)

Visitare un campo di concentramento non è facile, ma è necessario. Nelle due ore che è durata la visita abbiamo visitato le varie strutture; e la guida ci ha spiegato come funzionavano, come arrivavano le persone, in quali condizioni vivevano e così via. Auschwitz è oggi un museo della memoria storica, dove sono esposti manifesti informativi che ne spiegano la storia, fotografie dei prigionieri ed effetti personali.

Questi ultimi mi hanno colpita profondamente: montagne di scarpe per adulti e bambini (ce ne sono 44.000 paia), di capelli umani (ce ne sono 7,7 tonnellate, corrispondenti a circa 140.000 persone), di valigie e di protesi. Tutto questo apparteneva a persone la cui vita è stata stroncata semplicemente perché, per la maggior parte, erano ebree. Tutto ciò è stato reso possibile dalla retorica di odio, che ha permesso di disumanizzare e poi massacrare milioni di persone.

Durante la visita ha iniziato a nevicare, e il paesaggio è diventato il più desolato che abbia mai visto. Tutto quello che riuscivo a pensare era che se io, che ero molto coperta, avevo freddo, chissà come dovevano essersi sentiti i prigionieri, che venivano spogliati dei loro averi, rasati, e a cui venivano dati vestiti e scarpe che non erano della loro taglia e non erano adatti alle condizioni climatiche.

La ferrovia in entrata a Auschwitz (foto Veronica C. Ramos)

Abbiamo percorso le stesse strade che hanno percorso migliaia di prigionieri, e non riesco a immaginare come abbiano fatto nello stato fisico ed emotivo in cui si trovavano. Abbiamo anche attraversato i binari della ferrovia, da dove arrivavano in condizioni disumane. E una delle soste più dure che ricordo è stata quella alle camere a gas. Siamo entrati in silenzio, e vi siamo rimasti per qualche minuto. È stato orribile trovarsi nello stesso luogo in cui venivano uccisi donne, bambini, anziani e uomini.

In mezzo a tutto quel dolore, una cosa che mi ha colpito sono state le foto nelle baracche che mostravano i prigionieri sorridere alla macchina fotografica. Viktor Frankl sottolinea che «il modo in cui un uomo accetta il suo destino e tutte le sofferenze che esso comporta, il modo in cui prende la sua croce, gli dà ampie possibilità – anche nelle circostanze più difficili – di aggiungere un significato più profondo alla sua vita». Si è dedicato allo studio di ciò che dà veramente senso alla nostra vita, soprattutto quando attraversiamo momenti di grande sofferenza.

Targa commemorativa nel campo di Auschwitz (foto Veronica C. Ramos)

L’80esimo anniversario di quella liberazione è stato commemorato quest’anno in un evento a cui hanno partecipato 50 sopravvissuti, oltre a vari leader politici. Il direttore del museo di Auschwitz-Birkenau, Piotr Cywiński, ha osservato nel suo discorso che «la memoria fa male, ma anche aiuta, guida e avverte». Per questo motivo, nel 2005 le Nazioni Unite hanno designato il 27 gennaio come Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto.

Come sottolinea Viktor Frankl, «una delle caratteristiche principali dell’esistenza umana è la capacità di elevarsi al di sopra di tali condizioni, di crescere oltre. Gli esseri umani sono capaci di migliorare il mondo, se possibile, e di migliorare sé stessi, se necessario». In un’epoca di discorsi d’odio, violenza e uccisioni indiscriminate di popoli e comunità in tutto il mondo, la memoria storica è una necessità e una responsabilità sociale.

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