Aumento spese militari e follia della guerra
Il vertice dei Paesi Nato si è riunito, in presenza, a Bruxelles il 24 marzo per confermare e incentivare la decisione dei Paesi occidentali di sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina contro l’invasione russa iniziata esattamente un mese prima, nella notte del 24 febbraio dopo un lungo periodo di conflitto nella regione contesa del Donbass che dura dal 2014 con una stima di 14 mila morti tra i separatisti russofoni e le forze legate a Kiev.
Come afferma il presidente francese Macron, «la Nato ha fatto una scelta, quella di sostenere l’Ucraina per fermare la guerra, senza fare la guerra», cioè senza coinvolgere le proprie forze armate e senza offrire copertura aerea per intercettare attacchi dell’aviazione russa. Il blocco occidentale resiste alle richieste insistenti del presidente ucraino Zelenski che chiede da tempo un più deciso intervento delle forze Nato massicciamente schierate sul suo confine.
“Fermare la guerra senza fare la guerra” vuol dire adottare le sanzioni economiche e continuare ad assicurare un ricco e sofisticato arsenale bellico per le forze di difesa ucraine.
Da parte sua il ministro degli esteri russo Lavrov afferma che «una guerra totale, è stata dichiarata oggi contro di noi. Questo termine, che è stato usato dalla Germania hitleriana, è stato ora pronunciato dai politici europei».
I toni si stanno scaldando sempre di più come dimostra la dichiarazione dell’ambasciatore russo in Italia che si è detto preoccupato per l’invio di armi italiane nel teatro di guerra in Ucraina, in quanto «gli armamenti italiani saranno usati per uccidere cittadini russi».
Ma la dichiarazione più importante è quella del presidente statunitense che pone l’uso delle armi chimiche da parte dei russi come causa scatenante l’azione di risposta diretta degli Usa e dei suoi alleati. La stessa condizione posta da Obama in Siria nel 2013 ma che non fu messa in atto davanti alla confusione tipica di ogni guerra e all’incertezza nell’individuare gli autori effettivi di un tale crimine. Una “colpa” che in tanti ancora fanno pesare sull’ex inquilino della Casa Bianca che avrebbe aperto la porta al potenziamento del ruolo strategico della Russia di Putin.
Tra accuse reciproche di uso di bombe al fosforo, le stesse usate dagli Usa nel 2005 sulla città irachena di Falluja, notizie di crimini efferati e fosse comuni, non è affatto improbabile la comparsa e l’uso di queste armi custodite in arsenali occulti, così come la tentazione dell’arma nucleare più volte minacciata.
Davanti a questi scenari inquietanti, anche se veicolati in notiziari che mostrano capi di stato determinati e sorridenti, non può sorprendere il giudizio senza pudore di Francesco che per l’ennesima volta, stavolta in un discorso pronunciato ad una storica associazione cattolica di donne (Centro italiano femminile) ha parlato di “pazzia” di quei governanti che promuovono l’aumento delle spese in armamenti.
Il papa ha oltrepassato la linea rossa imposta dalla prudenza curiale citando esplicitamente quei governi, quegli «Stati che si sono impegnati a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali».
Quel 2% del Pil da destinare annualmente al settore militare è un preciso impegno preso da tempo da parte dei Paesi della Nato e quindi dall’Italia con uno sforzo che l’attuale governo intende rispettare con convinzione e decisione come già esposto su cittanuova.it e che è già in corso di attuazione come rivendica il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. La guerra in Ucraina ha solo incentivato questo processo decisionale che il governo tedesco di centro sinistra, ad esempio, ha deciso di varare all’indomani del 24 febbraio portando la spesa bellica ad oltre il 2% del Pil.
In Italia un odg votato il 16 marzo 2022 a larga maggioranza dalla Camera impegna il governo ad incrementare la spesa militare da 28,5 a 38 miliardi di euro all’anno, cioè da 68 a 104 milioni di euro al giorno secondo i calcoli dell’osservatorio Milex. Una scelta che sembra rimessa in discussione da alcune dichiarazioni del leader del Movimento 5 Stelle ed ex presidente del consiglio Giuseppe Conte.
Un orientamento che porterebbe ad una crisi di governo se portato avanti senza remore, anche se i pentastellati non sono tutti convinti di questo cambiamento di direzione.
Ad ogni modo sembra aprirsi lo spiraglio per un dibattito più approfondito sul tema che deve partire dall’analisi delle cause che hanno portato, nei decenni seguenti alla caduta del muro sovietico, ad un incremento costante delle spese militari a livello mondiale: dai 1.754 miliardi di dollari all’anno registrati nel 2009 siamo passati ai 1.960 miliardi di dollari nel 2020, anno della pandemia in cui si sono fermate le produzioni civili ma non quelle degli armamenti.
Per l’Italia si tratta del prezzo da pagare ad un inevitabile realismo politico legato al ruolo strategico richiesto al nostro Paese per la sua appartenenza all’Alleanza atlantica?
Una scelta quindi di politica economica che impone di dirottare verso la filiera degli armamenti quelle risorse da investire altrimenti per finalità di giustizia sociale e conversione ecologica?
Oppure siamo davanti al predominio del complesso militar industriale che in ogni blocco di potere richiede di poter essere alimentato senza fine pur davanti alla prospettiva di impoverimento e razionamento dei beni necessari, come paventato dagli stessi governanti, per la popolazione, a partire da quella più fragile e indifesa?
Questioni centrali che vanno affrontate con lucidità e lungimiranza davanti allo strazio di una guerra che divampa nel cuore dell’Europa.