Attualità di madre coraggio

Come una didascalia l’apologo spiega che la vivandiera Anna Fierling (cioè Madre Coraggio) ha tre figli e un carretto: sua casa e bottega. Con esso fa affari rifornendo le truppe di due eserciti. Finché ci sono soldati si mangia. E la guerra (quella dei Trentanni) continua, ma si porta via i due figli maschi: quello audace e quello bonario. La femmina è muta: non si sa cosa pensi, ma è sensibile. Troppo.Morirà per amore della giustizia. La madre, che sa parlare, parla d’altro: anche i sentimenti che prova per i propri figli, non può esprimerli. Rimane sola, e si rimette in marcia col carretto. La protagonista del testo di Bertolt Brecht ci dice che la guerra è brutta e non finisce mai. Ce la caviamo, forse. Qualcuno perfino ci guadagna (come lei nel suo piccolo). Ma a pagare un caro prezzo sono i figli che ci muoiono. individuale e corale, attuale come non mai, Madre Coraggio dimostra la sua qualità di classico superando quella funzione didattica con cui sembrava compromesso. Rimane, al di là dell’atto di accusa contro la guerra (Brecht lo scrisse nel 1938 allo scoccare della seconda guerra mondiale), come dramma dell’individuo nei confronti della storia, trascinato dagli eventi, e vittima inconsapevole. L’allestimento di Marco Sciaccaluga per il Teatro di Genova, decontestualizza l’epoca, e colloca gli avvenimenti dentro un teatro sventrato (riferimento allo storico Berliner Ensemble) che lo scenografo Matthias Langhoff inventa con un fosso al centro, tra macerie, poltrone divelte, e un binario sul proscenio. E se a mancare nell’affollato flusso di interpreti – anche stranieri – è un disegno unitario, s’impone, senza risparmio d’energia, una Mariangela Melato che prende vita con i suoi opportunismi e i suoi furori in un crescendo del grande personaggio, da ricordare.

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