Attualità di Dostoevskij
I romanzi di Dostoevskij offrono da sempre temi ambiti dal teatro. Ecco ora una bellissima edizione di Delitto e castigo firmata da Glauco Mauri, anche interprete insieme a Roberto Sturno. Lo spettacolo parte dall’assunto dello stesso scrittore: L’uomo è un mistero difficile da risolvere. Io voglio cercare di comprendere questo mistero perché voglio essere un uomo, come ebbe a scrivere in una lettera al fratello. Mauri mette a fuoco la grande contesa dello studente Raskolnikov col giudice Porfirij, dalla quale si attiva la sofferenza espiatrice del protagonista assassino. Questi, per aiutare la madre in miseria e infatuato di teorie da superuomo, non esita a uccidere una vecchia usuraia per derubarla. Nella riduzione scenica viene eliminato il mondo minuto di parenti e di basso popolo per lasciare emergere l’aspetto poliziesco. Esso annoda il filo dell’inquisizione vera e propria con quello dell’inchiesta che il personaggio conduce dentro sé stesso sino a disporsi ad una confessione frutto di una conversione, confortato dalla pietà della ex prostituta Sonia. Mauri realizza una rappresentazione incalzante, aiutato da frasi proiettate che sintetizzano le tematiche, e da una scenografia di pannelli a forma di labirinto, metafora dell’animo umano che cerca una via d’uscita per trovare la verità. Nei faccia a faccia del giudice istruttore che vuole inchiodare lo studente alla responsabilità dell’omicidio, sono bravissimi i due protagonisti, ancora una volta in una grande prova d’attore, a cui si aggiunge Silvia Ajelli. (Al Teatro Argentina di Roma e in tournée). Un’altra eccelsa prova l’hanno offerta due mitici attori francesi in due diverse adattamenti de Il Grande Inquisitore: Patrice Chéreau, in un reading a Villa Medici per il Romaeuropa Festival; e Maurice Bénichou, al Teatro Valle, in un allestimento essenziale con la regia di Peter Brook. Nella loro differente lettura (magistrale quella di Chéreau per forza comunicativa e profondità di accenti coi quali, interiorizzando il ruolo, ci accompagna nel sottotesto del racconto) entrambi danno alle parole un’interpretazione che illumina le pagine dei Fratelli Karamazov. Benichou, presenza e rigore da officiante di un rito – ma troppo freddo – si muove in una bianca pedana. Vestito di un sari nero, inveisce con una figura di spalle, il Cristo muto. L’accusa che l’anziano inquisitore di Siviglia gli muove, è l’essere ritornato sulla terra a operare miracoli e aver risvegliato negli uomini la coscienza e il libero arbitrio, inducendoli a discernere tra il Bene e il Male. Parlandoci della fede che l’inquisitore ha manipolato, emendato e infine smarrito, il gran testo ci interroga sulla nostra responsabilità, sull’eterno scontro della lotta per il potere, umano e spirituale.