Attualità di Adriano Olivetti in tempo di crisi
L’importanza di concepire il lavoro come luogo di relazione, in cui si incarnano i valori fondamentali di libertà, di uguaglianza e di fratellanza, è stata ben compresa dall’imprenditore di Ivrea Adriano Olivetti (1901-1960) che ha tentato di combinare il profitto dell’impresa e il valore in sé del lavoro.
La fama dell’ingegnere Olivetti è legata, in particolare, alla fondazione del Movimento Comunità, avvenuta nel 1947 a Torino, dopo aver personalmente sperimentato, come operaio, il lavoro di fabbrica nel 1914 e dopo aver osservato nel 1925, negli Stati Uniti, la nuova modalità di organizzazione capitalistica del lavoro.
Da subito il Movimento si presentava – come chiarisce Olivetti stesso in Città dell’Uomo, considerato il suo lascito spirituale – come una «testimonianza atta a dimostrare che è possibile dar vita a un nuovo sistema capace di dar finalmente libertà e benessere a tutti gli italiani, di interpretare le più profonde, naturali, umane aspirazioni del nostro popolo».
Il culmine del suo impegno sociale e della sua riflessione è da ricercare infatti in una nuova visione e in nuovo modello di impresa che dà voce a uno specifico ideale democratico di fabbrica: una comunità che sia, per il lavoratore e l’imprenditore, un luogo di giustizia e di progresso, di carità e di tolleranza.
Olivetti vuole varcare la soglia dell’impasse creatasi in una società lasciata nel corso dei secoli al dominio dell’uomo sull’uomo e alla logica del fanatismo ideologico, totalitario, causa di alienazione e di sradicamento, desiderando un’impresa solidarista e personalista capace di credere nell’uomo, nella sua vocazione e – in termini più alti come dirà durante un discorso ai lavoratori- «nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto».
Il lavoratore che trae dalla propria fatica e dal proprio sacrificio nel lavoro un’occasione di riscatto della propria vita eleva il suo sforzo verso un’entità nobile, vera e propria «Città dell’uomo», una comunità costruita a misura d’uomo, all’interno della quale egli può potenziare i legami personali e ritrovare il contatto profondo e spirituale con la sua terra.
L’esperienza della bellezza, declinata in tutte le sue forme, diventa così l’occasione per custodire e difendere la realtà industriale dall’ideologia che ha ridotto l’uomo ad un mero meccanismo inerte produttore di “cose”. Ma non si ferma qui il fermento di idee che entusiasmava Adriano.
L’imprenditore mette a punto un esperimento di politica nuova come opera di educazione e di democratica partecipazione alla vita di fabbrica desiderando che questa fosse radicata sul territorio di riferimento e per questo aperta a iniziative sociali, facendo da ponte con la realtà circostante. Come dimostra la Dichiarazione della Carta Assistenziale sui rapporti tra la società e il lavoratore, egli vuole garantire all’operaio una sua sicurezza sociale permettendogli così di accedere all’istituto assistenziale e richiedere i relativi benefici.
Questo a testimonianza che «l’uomo che vive la lunga giornata nell’officina non sigilla la sua umanità nella tuta da lavoro». Solo una siffatta Comunità si impegna realmente a «vedere e amare il popolo per la visione circostanziata delle sue pene, delle sue ansie, dei suoi timori e dei suoi sacrifici, ma anche della sua speranza e della sua certezza di un domani più alto, più degno di essere vissuto». Adriano sente la necessità di ripensare il lavoro secondo la logica della condivisione, della coordinazione dei movimenti e della cooperazione tra uomini – oltre la cultura dell’incentivo che vede nel denaro l’unico movente al lavoro e l’unico criterio di qualità di ciò che viene prodotto – restituendo ad essi l’integralità della propria soggettività.
Il lavoro, quindi, rivela un’intrinseca qualità generativa: lavorare è fare qualcosa per e con qualcuno, arricchendo di senso autentico il lavoro umano come luogo di carità e di gratuità, di scambi e di incontri.
È centrale nel suo progetto di imprenditoria civile la meditazione attorno al concetto di persona, che risente della sensibilità religiosa e culturale di alcuni esponenti del cattolicesimo francese (Maritain, Mounier) come di Saint-Exupéry e Weil). In uno dei suoi testi esemplari, l’Ordine politico delle Comunità, Olivetti ricorda che «la Persona nasce da una vocazione, dalla consapevolezza cioè del compito che ogni uomo ha nella società terrena, e che come tale essa si traduce in un arricchimento dei valori morali dell’individuo.
In virtù di ciò, la Persona ha profondo il senso, e quindi il rispetto, sostanzialmente e intimamente cristiani, della dignità altrui, sente profondamente i legami che l’uniscono alla Comunità cui appartiene, ha vivissima la coscienza di un dovere sociale; essa in sostanza possiede un principio interiore spirituale che crea e sostiene la sua vocazione indirizzandola verso un fine superiore.» Quella di Olivetti è stata la profezia di una promessa concretizzata e serbata nel cuore per lungo tempo, come qualcosa di grande che ha portato la dimensione della bellezza nella realtà di fabbrica: bellezza negli oggetti, negli spazi di lavoro, del vivere bene tra persone.
Oggi, l’azione e l’esempio dell’ingegnere di Ivrea di può ritrovare in coloro che desiderano dare un volto etico alle imprese, generatori di risorse per il territorio in cui sono radicate. Si pensi ad esempio alle imprese e alle cooperative (profit e non) volenterose di rinsaldare il legame con il proprio luogo, con la società civile. Occorre, infatti, oggi più che mai coinvolgere, come soggetti attivi, le persone in progetti per il bene comune avvicinandoli all’esperienza di comunità concreta, a cominciare dall’osservazione scrupolosa della realtà da noi abitata.
Seppur a distanza di anni gli imprenditori,possono confrontarsi da vicino con l’esperienza olivettiana, per quanto riguarda la capacità con cui Adriano ha “preso su di sé” un vasto progetto innovativo mirato alla qualità di vita della persona e della collettività. Progetto non da tutti, però, compreso e accolto, specialmente dopo la sua morte. Essi, tuttavia, sono chiamati sempre più a una responsabilità sociale con l’obiettivo di porre come priorità, in qualunque contesto operino, accanto alla crescita dei redditi e dei profitti, la vocazione umana al lavoro. Olivetti non solo ha saputo guardare al futuro delle persone e dell’industria italiana del secondo dopoguerra, ma ha scelto di pensare e di agire in modo essenziale e libero, facendo scoprire ai lavoratori della sua azienda, tra cui giovani, l’entusiasmo di compartecipazione ad una realtà viva e l’occasione di rifiorire in tutte le loro dimensioni, accompagnandoli alla scoperta della vocazione profonda, mai disgiunta da quel contatto con la materia plasmata con coscienza morale e spirituale.