Attira il futuro
Ciò che tuttora ci colpisce nei Padri della Chiesa dei primi secoli è la straordinaria capacità di spezzare il pane della verità, anche nei suoi risvolti più impegnativi, a tutto il popolo di Dio. Non c’è in loro una teologia accademica staccata dalla vita concreta della comunità cristiana. Ebbene, è proprio questa qualità quella che si staglia a tutto tondo nel magistero di Benedetto XVI. Ce ne siamo felicemente accorti con la sua prima enciclica, Deus caritas est (2006). E ora ce lo conferma a chiare lettere la sua seconda enciclica, Spe salvi. Intanto il tema: che è di quelli inaspettati a un tempo e attesi. Inaspettato, perché nulla sinora era trapelato dell’intenzione del papa di proporre proprio la speranza alla meditazione di noi tutti, e neppure dell’intenso lavoro di preparazione da cui l’enciclica è nata. Atteso, perché il tema della speranza va dritto al cuore dell’invocazione forse più profonda e lancinante che sale dal nostro tempo, a livello personale e a livello collettivo. In che cosa sperare? perché sperare, dinnanzi a un panorama così fosco e disilluso come quello che si presenta oggi ai nostri occhi? Muovendo da questa situazione, papa Ratzinger intende risvegliare in noi il significato più autentico ed efficace della speranza che nasce dalla fede in Gesù: Una speranza affidabile in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente. Il fatto è che, sin dagl’inizi, il messaggio cristiano non era solo informativo, ma performativo. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La riflessione del papa si snoda di qui lineare e semplice, alla portata di tutti, ma insieme densa e ricca. E come tale riesce a dischiudere tutti i suoi vitali e coinvolgenti contenuti a una lettura attenta e ripetuta, in atteggiamento appunto di meditazione. Due mi pare siano gli assi portanti dell’enciclica. Innanzi tutto, la chiara, a tratti persino commovente, individuazione del saldo fondamento della speranza cristiana nella fede in Gesù come colui che ci rivela una volta per tutte e per sempre Dio che è Amore. La speranza getta la sua àncora proprio lì: nel cuore stesso di Dio, che immensamente e irrevocabilmente ama ciascuno sino al dono senza residui di sé nel Figlio fatto carne. È proprio questo ciò di cui l’essere umano ha bisogno: l’amore incondizionato. Ed è solo a partire dalla fede in questo amore – argomenta persuasivamente il papa – che la luce di un futuro di giustizia e di pace realistico e a portata di mano, pur nel chiaroscuro delle vicende umane, può gettare i suoi raggi sul presente. La speranza, in altre parole, attira dentro il presente il futuro, in modo tale che in esso, come singoli e come comunità, ci s’impegni vigorosamente per anticipare nel tempo quell’amore che alla fine vincerà: come dono di Dio e insieme come frutto della sua grazia responsabilmente accolta in noi. Di qui, il secondo asse che attraversa l’enciclica: qual è la chiave per rendere operante con efficacia la speranza nella storia? Il mondo moderno è stato abbagliato dall’utopia del progresso, giungendo a credere che, con le sole forze dell’uomo, fosse possibile costruire definitivamente il regno di Dio in terra. Il papa non denuncia a priori le rivoluzioni – scientifiche e politiche – che hanno segnato la modernità. Costata piuttosto che esse hanno, spesso rovinosamente, fallito. La tecnica, scientifica e politica, infatti, da sé sola non risponde al desiderio di vita felice e giusta che pulsa nel nostro cuore. La scienza può contribuire molto all’umanizzazione del mondo e dell’umanità – nota il papa -. Essa però può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa. Occorre dunque qualcosa di più e di diverso. Occorre che l’uomo accolga l’amore di Dio – che spesso egli, con tutto sé stesso, inconsapevolmente desidera – come fonte e misura e meta del suo vivere nel mondo. A partire da qui l’enciclica diventa una sorta di manifesto programmatico lanciato al nostro tempo. Con l’invito a un’autocritica dell’età moderna che ci riporti tutti a riscoprire quali sono il significato, i criteri e gli obiettivi del nostro agire nella storia; ma anche del cristianesimo moderno che deve sempre di nuovo imparare a comprendere sé stesso a partire dalle proprie radici, superando la tentazione di restringere la speranza negli orizzonti angusti dell’individualismo, come troppo spesso è avvenuto negli ultimi secoli. L’appello a risvegliare la speranza nei cuori diventa così appello a organizzare la speranza nei cantieri della cultura e della società: là dove nella carne di chi soffre ed è emarginato si gioca già quaggiù il futuro di una storia che avrà pieno e definitivo compimento nel giudizio giusto e misericordioso del Figlio dell’uomo alla fine dei tempi. Di qui, infine, l’invito a frequentare con fiducia e intensità i luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza: la preghiera, l’agire e il soffrire, la contemplazione del giudizio finale come fonte appunto di speranza e di responsabilità. Guardando e specchiandosi in Maria, stella della speranza. SCRITTA DI SUO PUGNO Nella speranza siamo stati salvati , ( Spe salvi facti sumus). Così, citando san Paolo, inizia il testo originale in latino della nuova enciclica di Benedetto XVI. È la sua seconda lettera circolare, in greco enkyklosis: introduzione, sette capitoli ed epilogo dedicato a Maria. È inequivocabilmente suo, scritto interamente di suo pugno, ha specificato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, a proposito del documento che reca la personalissima impronta di papa Ratzinger. Il testo è stato firmato dal pontefice alle ore 11 del 30 novembre e mezz’ora più tardi vedeva già la presentazione alla stampa internazionale. Un primato di rapidità. Per Benedetto XVI la speranza è sostanziata di volti. Così ha citato, tra gli altri, santa Giuseppina Bakhita, venduta come schiava nel Darfur, san Paolo Le-Bao-Thin, martire vietnamita, e il card. Van Thuan, per 13 anni prigioniero del regime comunista in Vietnam. Riferendosi a quest’ultimo, il pontefice rimanda al libro Testimoni della speranza, edito da Città Nuova. Per la prima volta, la nostra casa editrice viene citata (nota 27) in un’enciclica. Al testo, il papa ha iniziato a lavorare subito dopo Pasqua – ha spiegato padre Lombardi – e vi ha dedicato gran parte dell’estate. Dopo quella sulla carità ( Deus caritas est) e questa sulla speranza, forse è prevedibile una sulla fede, per comporre una trilogia sulle virtù teologali. Una simile ipotesi, tuttavia, non è ancora in programma. In preparazione, invece, il documento sui temi sociali.