Attese e contraddizioni del “Continente della speranza”
Il Sud America cerca il riscatto sociale, economico e politico. Prospettive e auguri dal nostro corrispondente dall'Argentina
Ci approssimiamo non solo a un nuovo anno, ma anche a una nuova decade. Sì, sono già trascorsi dieci anni da quando, emozionati, ci preparammo all’arrivo del secolo XXI. Sembra ieri e già stiamo aspettando il 2011.
Parlare di decadi in America latina non può non evocare il ricordo delle cosiddette “decadi perdute”, quelle degli anni ‘70, ‘80 e ‘90. Trent’anni cruciali durante i quali siamo passati da feroci dittature militari e sanguinose guerre civili – con decine di migliaia di morti, di torturati, di desaparecidos, con diritti umani calpestati – al ritorno alla democrazia, tanto faticosamente recuperata.
Gli anni ‘80 sono stati quelli dell’esplosione del debito estero, ossia, lo sfruttamento sfacciato di questa povertà da parte delle istituzioni multilaterali di credito, concretamente il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale, utilizzate – cosí come li descrive Z. Brzezinski nel suo “Il grande scacchiere mondiale” – come strumenti propri della politica di Washington. Gli ottimismi di questa decade, fondati su una globalizzazione motore di crescita e di sviluppo, vennero sfatati in modo crudele quando gli anni ‘90 dimostrarono l’accentuarsi della povertà e della diseguaglianza. L’apertura indiscriminata del mercato, imposta dalle ricette di aggiustamento strutturale marcate Fmi smantellarono in più casi il patrimonio pubblico trasferendo a settori privati attività che consentivano allo Stato di essere presente, anche se spesso in modo inefficiente.
Quando le cose andarono male, spesso, gli attivi privatizzati si convertirono in passivi (debiti) socializzati. L’America latina si affacciò così agli albori del terzo millennio più indebitata e instabile che mai.
Se una speranza può oggi nutrire il “continente della speranza” forse consiste proprio nel cammino percorso durante gli ultimi anni. Un cammino di maggiore autonomia politica, di crescita come blocco politico. Con le sue contradizioni e le sue incoerenze: con centinaia di milioni di poveri, ma anche con un leader, il Brasile, ottava economia del pianeta; con Paesi istituzionalmente solidi, come il Cile, l’Uruguay e lo stesso Brasile, ed altri che ancora soffrono le incertezze di un progetto politico chiaro con tentazioni di autoritarismo, come forse il Venezuela, oppure sono affetti da polarizzazioni dolorose, come la Bolivia. Un continente con regioni ancora fortemente carenti di infrastrutture civili, come il Perú o il Centro America, ma dotati di una creatività fuori dal comune come in Argentina, riserva ragionale di risorse umane. Con Paesi dotati di una pertinacia a tutta prova, come il Cile capace di uscire dal dramma di un terremoto e un maremoto sconvolgenti con le proprie forze, così come ha saputo riscattare dal ventre della terra i suoi figli minatori lì sepolti, o avvolti da una violenza allucinante e allucinata, come la Colombia e il Messico. Non mancano processi democratici che hanno portato soggetti da sempre marginati, come le molte etnie indigene e gli stessi poveri mobilitati dalla società civile, a trasformarsi in soggetti politici attivi. Basti vedere quanto accade in Bolivia e in Ecuador.
Luci ed ombre, debolezze e punti forti, incertezze ma anche tempi nuovi. Se una parola può riassumere oggi l’intera regione é: dignità. Una dignità recuperata non sulla scia di elemosine imposte col criterio del “do ut des”, come spesso l’Occidente ha preteso di trattare la regione, ma ottenuta dal lavoro, dall’uso delle proprie risorse cha ha permesso una partnership commerciale con Cina e India senza precedenti e ha accelerato la crescita in molto zone del continente latinoamericanò. Una dignità che, ottenuta da una autonomia politica, rende sempre più sovrana del proprio destino la gente. Una dignità che guarda le proprie ferite e le proprie piaghe ancora aperte con coraggio e con maggiore coscienza. Tra queste la più importante, il suo maggiore deficit è quello della coesione sociale, con interessi contrapposti e forti scontri politici – ed il caso più estremo è l’Argentina di queste settimane –, soprattutto tra coloro che non sono disposti a mettere in gioco interessi e privilegi accumulati nel passato e coloro che vogliono scommettere su progetti politici aperti a tutti i cittadini, senza esclusioni. Una piaga spesso lenita dalla creatività di una società civile in fermento e da un senso di solidarietà fortissimo.
Insomma, si può continuare a sperare. Si può guardare non solo al 2011, ma al futuro di questa regione e credere che sia possibile costruire un mondo più giusto e più fraterno. Un anelito, la fraternità, sempre presente tra i popoli latinoamericani, che in questi tempi natalizi mi piace immaginare come un gigantesco presepe in permanente avvento.