Attentato a Bruxelles, il perdono e le vittime
Dopo l'attentato terroristico a Bruxelles, adesso un senso di paura e di sgomento prende chi inizia la sua giornata in un aeroporto o in una metropolitana. Tutti rimangono turbati da una sicurezza che non c’è e non è in grado di prevenire tragedie come questa. Tutti parlano, ma nessuno riesce a dire parole di verità e a compiere gesti di verità. Le vittime di questa strage entrano nelle case piccole e grandi delle città, dei paesi e dei villaggi europei.
Ed entrano all’inizio della Settimana santa, in cui si segue la via crucis di un innocente, di uno che dalla croce annuncia il perdono. L’esatto contrario di quello che dicono molte voci europee, che chiedono guerra, conflitto, vendetta, ritorsioni, senza sapere contro chi e contro cosa. Rimangono le oltre trenta vittime e le centinaia di feriti, che la politica non ha saputo evitare, e che al tempo stesso la nostra cultura non è in grado di spiegare.
Nel Vangelo di Luca, Gesù non entra a Gerusalemme, ma i suoi discepoli lo cantano come risposta agli angeli di Betlemme, in un concerto di pace e di gloria. In realtà, Gesù dal Monte degli ulivi guarda Gerusalemme e pone il suo giudizio, perché la città non ha conosciuto la visita della pace, la via della pace.
Le vittime di Bruxelles sono nella via crucis che porta a Gerusalemme. Su di loro è stata deposta la croce, come per il cireneo, sulle cui spalle viene consegnata la croce del Signore. Ben più del cireneo, oltre trenta vittime innocenti, assimilate al destino dell’innocente.
Luca sottolinea per tre volte l’innocenza di Gesù nel processo davanti a Pilato. Gesù è davvero l’innocente, nella sua pienezza e nel suo mistero. Allo stesso modo sono innocenti le vittime di Bruxelles. Anzi, il loro porsi davanti a noi in questa santa settimana, ne rivela la preziosità e l'unicità davanti a Dio.
Gesù annuncia il perdono. È la prima parola di Gesù sulla croce: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno». E il perdono viene dalla vittima e dalle vittime. Così è testimoniata l’alterità radicale tra chi è prigioniero della violenza e dell’odio e chi, salendo sulla croce, dona la via dell’amore e della pace.
Sembra che la violenza e la vendetta ci rassicurino, in realtà ci catturano in una logica di morte senza fine, che ci consegna alla cultura della guerra e della rappresaglia. Gesù di fronte a una strage di guerra compiuta da Pilato nei confronti di alcuni galilei, prende la parola e pone una questione radicale: «Credete che quei galilei fossero più peccatori di tutti i galilei, per aver subito tale sorte? Ma io vi dico: se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3).
Gesù non entra in questioni di teoria politica o di politologia, ma pone la questione: se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. Allora la parola della conversione rimanda alla parola del perdono, sulla croce, nel luogo più laico e abbandonato del mondo, nel luogo della morte tragica dei malfattori.
In uno scialo di morte, che viviamo in queste ore, da Bruxelles a tutta l’Europa, non crediamo di vincere la partita moltiplicando la violenza e il terrore. Gesù ci consegna la parola del perdono e della conversione, la parola grande della misericordia. L’Europa ha bisogno di misericordia, non di guerra e vendetta.
Il terrore di oggi è il distillato di una violenza che viene da lontano: dalla prima guerra del Golfo alla seconda guerra del Golfo, alla guerra dei Balcani, alla tragedia israelo-palestinese, alle guerre del Corno d’Africa, alla guerra dei Grandi laghi, alla guerra in Irak, a quelle in Siria e in Libano, alla guerra in Somalia.
La violenza contro i profughi e i migranti, la violenza dei muri e dei fili spinati, la violenza verso i deboli, gli affamati e gli assetati della terra chiedono giustizia. La vera posta in gioco non è vincere la guerra, ma riconciliare l’Europa e il mondo, riconciliarli nell'accoglienza e nella dignità. L’innocente sulla croce, che consegna il perdono, ci chiama alla conversione, ci chiama ad abbandonare ogni spirito di guerra e di vendetta, per fare la pace, per fare il perdono e la riconciliazione.
Si entra a Gerusalemme per fare la pace, si sale sul calvario per confessare il perdono. Si scende nel sepolcro per vivere la misericordia, il cuore aperto ai miseri, che scioglie la pretesa della vendetta e del conflitto.
Il terrore non può catturare la nostra vita, i nostri giorni e spingerci nel baratro della vendetta. Perderemmo l’anima e anche la vita. Non ci chiedono questo le vittime innocenti di Bruxelles. Esse, con Gesù, invocano il perdono per tutti e di tutti. Esse dicono che le persone del terrore, che hanno insanguinato la capitale istituzionale dell’Europa, non sanno quello che fanno. E là dove la follia del terrore diventa grande, la forza inerme del perdono è capace di guarire ogni ferita, soprattutto quelle generate dal delirio della violenza.
Ecco la frontiera dell’impossibile, a cui Dio chiama l’intera umanità, che scarta i poveri e celebra i potenti, indicando sempre “via crucis, via amoris, via pacis”. Ecco la frontiera della misericordia, che è capace di guarire i cuori violenti degli uomini e delle donne del terrore.
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