Attentati in Kenya
Domenica scorsa un attentato compiuto durante le lezioni domenicali di catechismo in una chiesa anglicana di Nairobi, Saint Polycarp, ha ucciso due ragazzini e ferito una decina d’altri, facendo gridare certa stampa occidentale all’ennesimo attacco di cristianofobia.
L’avvenimento è senza dubbio crudele, ma come ha fatto notare l’arcivescovo di Nairobi, arrivato a Roma per il prossimo Sinodo, ancora una volta non si tratta di un conflitto fra cristiani e musulmani e sarebbe bene non definirlo tale. Il cardinale John Nuje, in una intervista rilasciata al Vatican Insider della Stampa di Torino ha confermato di aver incontrato i leader musulmani, che hanno assicurato di non essere coinvolti nell’attentato e di non comprendere la strategia che sta dietro un atto senza dubbio vile perché ha preso di mira bambini inermi.
Non pochi osservatori locali collegano l’azione terroristica con la questione degli estremisti islamici di Al Shebaab, il gruppo affiliato ad Al Quaida, che ha controllato a lungo il porto somalo di Kismayu e ai quali si fanno risalire atti di pirateria nei mari antistanti Somalia e Kenya. Mi faceva notare un amico kenyota, che si trova in Italia in questi giorni, che la situazione di vuoto di potere in Somalia costituisce un grosso pericolo per il Kenya e non solo. Le infiltrazioni da un Paese all’altro sono numerose ed avvengono regolarmente senza che sia possibile esercitare un controllo lungo la linea di frontiera fra i due Paesi.
La zona dove si trova la chiesa di Saint Polycarp nel quartiere di Pangani confina con quello di Eastleigh, conosciuto come la "Little Mogadiscio" in cui vivono i rifugiati somali e i keniani di origine somala. Il fatto che le truppe del Kenya abbiano, nei giorni precedenti, liberato il porto di Kismayu dai terroristi non ha lasciato indifferenti i somali e, comunque, può essere significativo che l’attentato sia avvenuto proprio in quella parte della metropoli africana. La situazione è tesa e preoccupante, ma senza dubbio non esiste in questo momento un conflitto fra musulmani e cristiani come spesso la nostra stampa vorrebbe far credere.
Intanto nel porto somalo, i militari del Kenya stanno effettuando numerosi arresti – si dice fino ad un centinaio di persone siano state messe in prigione dal momento in cui le truppe di Nairobi sono entrate a Kismayu. Si tratta di sospettati di collegamenti con l’insurrezione armata di Al Shabaab, che per mesi ha controllato il porto somalo.
E’ possibile che l’atto di domenica scorsa sia collegato con l’operazione militare e di pulizia che le truppe stanno svolgendo, ma vale la pena sottolineare come i cristiani, in particolare i cattolici, siano stati invitati a non reagire alle provocazioni da parte di gruppi terroristici.
“Noi consigliamo ai cristiani di andare oltre, di non alimentare l’odio a cui ci vogliono spingere i colpevoli di questi attentati. Non dobbiamo fare il loro gioco” (vaticaninsider.lastampa.it), ha affermato il Cardinal John Nuje, che non ha nascosto la convinzione che esistano manipolazioni politiche ed infiltrazioni dall’esterno che mirano a creare tensioni. Le stesse divisioni etniche, vero problema del continente africano, sono spesso fomentate e acuite da politici che tendono a dividere la gente giocando sulle e con le emozioni della gente.
“Abbiamo già avviato una serie di corsi di educazione civica, per promuovere l’idea della fraternità nella nostra comunità nazionale. E’ un’azione in cui ci siamo impegnati insieme alle altre comunità cristiane”. L’iniziativa della Chiesa in Kenya fa ben sperare per evitare una escalation delle violenze, mentre i militari di Nairobi cercano di ovviare al vuoto di potere In Somalia. La stampa occidentale può giocare un ruolo chiave in questi equilibri, evitando di etichettare questi incidenti, già di per sé dolorosi, per quanto non sono.