Atletica: spettacolo ed emozioni a Budapest

Spettacolo ed emozioni, questo quello che regalano gli azzurri - e non solo - ai mondiali di atletica di Budapest tra delusioni, conferme e sorprese. Vediamo perché.
Budapest
Gianmarco Tamberi, of Italy, celebrates with spectators after winning the gold medal in the Men's high jump final during the World Athletics Championships in Budapest, Hungary, Tuesday, Aug. 22, 2023. (AP Photo/Petr David Josek)

L’Italia chiude il medagliere generale dei campionati mondiali di atletica leggera, che si sono svolti a Budapest dal 19 al 27 agosto scorso, con un bottino di ben 4 medaglie: un oro, due argenti e un bronzo.

Ad aprire le danze tricolori a Budapest ci pensa Leonardo Fabbri. Il ventiseienne fiorentino conquista un argento nel getto del peso maschile già nella prima giornata di gare con un fantastico 22,34 che lo rende il secondo italiano di sempre. L’azzurro che, alla vigilia della gara, si era detto “finalmente pronto mentalmente, fisicamente e tecnicamente” non delude le aspettative e porta a casa la prima medaglia della spedizione azzurra. Queste le sue parole al termine della gara nella quale vince la sua prima medaglia mondiale.
È il momento che sogno da tutta la vita. Sono contentissimo − poi racconta −. Prima della gara mi sono caricato guardando alcuni commenti negativi alle mie prestazioni su Facebook. Avevo detto che valevo 22 alto e oggi l’ho dimostrato”.

Un lavoro fisico ma anche mentale, quindi, quello del vicecampione del mondo nel lancio del peso che ha usato gli attacchi dagli haters per caricarsi e dimostrare, prima a sé stesso e poi agli altri, quanto vale. Un lavoro mentale è anche quello dell’atleta che regala all’Italia la seconda medaglia iridata nel secondo giorno di gare: Antonella Palmisano. La campionessa olimpica di Tokyo è infatti medaglia di bronzo nella 20 km di marcia che chiude in 1h27’26”. L’azzurra, durante la sua gara, oltre ad un durissimo lavoro fisico, ha dovuto fare anche un enorme sforzo mentale soprattutto dopo la prima metà gara quando, all’11esimo km cade e rischia di dover alzare bandiera bianca. Ma la Palmisano, dopo due anni di digiuno non ci sta a mollare, reagisce e torna in piena corsa riuscendo a salire sull’ultimo gradino del podio. “Quello che conta è la testa – racconta la tarantina – ho imparato in questi due anni a vedere tutto il bello che c’è intorno a me, senza concentrami sui problemi. Ora so che posso andare avanti al meglio, ora l’appuntamento è con l’Olimpiade, c’è Parigi dietro l’angolo”.

 

Il sogno di Tamberi, le emozioni e i valori

Dopo le prime due giornate, però, le cose non sembrano andare bene in casa Italia, soprattutto per i due campioni olimpici di Tokyo – Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi – che si qualificano con fatica nelle rispettive finali. E, se alla fine la prestazione del velocista sarà deludente, non delude, invece, la finale del capitano Gimbo Tamberi perché, come dirà ai microfoni di SkySport24 “ho sostituito gli incubi con i sogni. Ho sognato l’oro mondiale e l’ho conquistato”. E l’oro, infatti, l’unico che mancava al suo palmarès, Gimbo lo vince davvero e riscrive la storia dello sport italiano diventando il secondo azzurro dell’atletica leggera – dopo Alberto Cova nei 10.000 metri − ad aver centrato il ‘triplete’, Olimpiade, Mondiale ed Europeo. Un lavoro pazzesco, così lo descrive il capitano degli azzurri che commenta: “Pazzesco, non riesco neanche a sentirmelo dire che sono campione del mondo”. Una medaglia d’oro che riempie d’orgoglio, che emoziona ed emoziona anche per come viene vissuta e festeggiata da chi, oltre ad essere campione nello sport, è anche un campione di valori, di vita. Emoziona perché Tamberi quella medaglia non la festeggia da solo, ma la festeggia con gli amici, con gli avversari, con gli atleti delle altre discipline e, soprattutto, con Barshim, il qatariota con il quale aveva diviso l’oro olimpico dando a tutti una lezione di vita in quel pomeriggio di agosto a Tokyo.

Lezione che è stata imparata e replicata a Budapest da Nina Kennedy e Katie Moon nella finale del salto con l’asta quando, dopo una situazione di parità, decidono di dividere il gradino più alto del podio invece di continuare la gara. Scena bellissima che ci fa rivivere quella vissuta da Tamberi e Barshim che, dopo uno sguardo, capiscono subito che si, non c’è niente da discutere, l’oro non possono che dividerlo. Scena che rimarrà sempre impressa nelle nostre menti, nei nostri cuori e in quelle di due magnifici atleti che, dopo l’oro dell’azzurro e il bronzo del qatariota, di nuovo, come due anni fa, hanno festeggiato insieme per ricordarci che, forse, non tutto è perduto e che lo sport è, in primis, promotore di valori.

 

“Tutti per uno e uno per tutti”

Altro valore fondamentale che questi Mondiali ci hanno ricordato è quello dell’importanza di essere squadra perché solo l’unione fa la forza. Questo ce lo hanno dimostrato tutti gli staffettisti azzurri perché, nonostante alcuni dei risultati singoli non siano stati all’altezza delle aspettative, la spedizione azzurra è riuscita ad accaparrarsi – per la prima volta nella storia − ben 4 finali nella staffetta. Accedono infatti alle finali mondiali sia le atlete che gli atleti della 4×100 e della 4×400 che, a prescindere dai risultati, compiono una vera impresa.

Da segnalare, sicuramente, il risultato storico delle atlete della 4×100 femminile che arrivano quarte, ad un passo dal podio, e il record italiano di 3:23.86 dalle staffettiste della 4×400 che, con questo tempo, riescono ad accedere – seppur con poche pretese per una medaglia − alla finale.

Pretese che, invece, non potevano non avere i 4 uomini della 4×100 e campioni olimpici. Il quartetto di Tokyo − con l’unica eccezione di Rigali al posto di Desalu − non si accontenta dell’accesso alla finale e va a prendersi un magnifico argento mondiale che mancava alla bacheca azzurra da ben 40 anni. Un argento che ci ricorda che lo sport non è solo del singolo e questo, a maggior ragione, quando si impugna il testimone perché in quel momento, come ricorda Tortu “corri per la staffetta con i tuoi compagni, non corri per te stesso, corri per gli altri” perché con il testimone, più che in qualsiasi altra disciplina, si corre “per la nazione” secondo Jacobs. Una nazione che ringrazia questi ragazzi per i loro sacrifici, per le emozioni che regalano e che vanno oltre le medaglie e perché, almeno quando si parla di sport, non ci fanno vergognare di appartenere a questa nazione.

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