Atlantide di casa nostra

Baia, sul litorale flegreo, fu la più celebre città termale dell’antichità. Oggi in parte sommersa a causa del bradisismo
Parco sommerso di Baia

«Vadano in malora le acque di Baia: sono un delitto contro l’amore!». Questa invettiva la lanciò Properzio, poeta augusteo, a causa dell’infedeltà di Cinzia, la donna amata che proprio lì gli preferì altri amori. Secoli dopo Boccaccio, per lo spegnersi in quella stessa località dell’idillio con Fiammetta, gli faceva eco più sobriamente: «Perir possa il tuo nome, Baia». Evidentemente, pur nella decadenza che, nel XIV secolo, doveva aver ridotto il luogo allo stato di rovina, qualcosa delle sue fatali attrattive ancora sopravviveva.

Ma per quale colpa questa che oggi è frazione del comune di Bacoli, sul litorale flegreo, avrebbe meritato le maledizioni di due famosi poeti? Celebre per le sue bellezze paesaggistiche, cui si aggiungevano le acque salutari pullulanti con straordinaria abbondanza perfino da scaturigini subacquee, non lo fu meno per la sua scostumatezza. Imperatori, patrizi, liberti arricchitisi fecero a gara per erigere sull’arco del golfo ville e palazzi favolosi: vi crebbe una intera città consacrata al benessere e allo svago con belvederi, esedre, sale per abluzioni e bagni, terrazze porticate, palestre, biblioteche, criptoportici. Un complesso apparentemente caotico di lussuosi edifici ornati da statue, affreschi, mosaici e collegati da percorsi labirintici, una specie di Montecarlo dell’antichità, le cui abitudini di vita facevano inorridire i moralisti e i benpensanti.

A esaudire i voti sia di Properzio che di Boccaccio intervenne il bradisismo, questo fenomeno geologico  tipico di tutto l’arco costiero flegreo, che fece sprofondare a poco a poco Baia (occorsero secoli) nelle azzurre acque in cui si specchiava. Della più celebre città termale dell’antichità rimasero visibili, tra la rigogliosa vegetazione che aveva preso il sopravvento, solo alcuni grandiosi ruderi interpretati popolarmente come “templi” (in realtà strutture termali) e raffigurati in innumerevoli dipinti e gouaches come souvenir per i viaggiatori del Grand Tour.

Solo negli anni Quaranta del secolo scorso, grazie alle campagne di scavo condotte da Amedeo Maiuri, Baia tornò a rivelare la sua passata magnificenza, limitatamente alla parte rimasta all’asciutto. Quella sommersa invece – ed è la più estesa – rimaneva ancora ignota, anche se di tanto in tanto rinvenimenti fortuiti, dovuti per lo più a operazioni di dragaggio dei fondali marini, portavano al recupero di marmi e statue corrosi e incrostati di molluschi. Solo col progredire dell’archeologia subacquea si arrivò, negli ultimi decenni, a perlustrare questa novella Atlantide sprofondata fino a sedici metri, e a tracciarne una mappa.

Tramite il Cymba, un battello col fondo finestrato, è possibile ammirare questo vero e proprio “museo subacqueo” con tanto di strade, ville, impianti portuali e termali, tornato alla ribalta mondiale dopo il rinvenimento, nei primi anni Ottanta, del ninfeo-triclinio di Punta Epitaffio, il cui raffinato corredo scultoreo relativo al mito di Ulisse e Polifemo, a divinità e personaggi della dinastia claudia, forma oggi il vanto del locale Castello Aragonese, sede del  Museo archeologico dei Campi Flegrei.

Ma ritorniamo per un momento alla Baia di Maiuri, immersa in un parco che comprende fra le sue essenze anche il mirto sacro ad Afrodite, per rievocare  il rinvenimento forse più clamoroso che vi fece l’archeologo: una stupenda replica in marmo di un originale bronzeo di Calamide, raffigurante Afrodite Sosandra, ossia «colei che salva gli uomini», oggi custodita nel Museo archeologico di Napoli. Dea dalle molteplici manifestazioni, rappresentata di solito nella sua bellezza senza veli, qui invece appare pudicamente avvolta in un mantello che le cela completamente l’anatomia coprendole anche il capo; colpiscono l’espressione composta del bel volto ovale, la purezza che emana dalla severa figura. Ci saremmo aspettati di trovare una statua del genere in questo “luogo di perdizione”?

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