Atal Bihari Vajpayee, lo statista gentiluomo

Scomparso all'età di 93 anni, era stato primo ministro per tre mandati e aveva promosso sempre una politica di apertura, non solo all'estero, ad esempio verso il Pakistan, ma anche all'interno del Paese.

«L’India saluta con un arrivederci il suo politico gentiluomo», questo il titolo significativo con cui un importante quotidiano indiano ha aperto venerdi scorso la sua prima pagina. Atal Bihari Vajpayee, scomparso all’età di 93 anni, era sto primo ministro della più grande democrazia al mondo – l’India appunto – per tre volte. Non erano stati mandati consecutivi. Alla prima, di breve durata, nel 1996, era seguita una seconda dal 1998 al 1999 e, poi, a seguire il quinquennio che aveva portato il Paese nel nuovo millennio (dal 1999 al 2004).

Si tratta di uno dei primi ministri più amati dall’India anche per il suo tratto gentile e la sua vena poetica. Sebbene legato al primo governo a maggioranza del Bharatya Janata Party (BJP), attualmente di nuovo alla guida del Paese con il primo ministro Surendra Modi, Vajpaeey non aveva mai dato l’impressione di guidare un esecutivo con tendenze fondamentaliste.

L’uomo forte, il vero rappresentante dell’Hindutva (la linea politica che vorrebbe l’India per gli indù e che ha guadagnato consensi negli ultimi anni) era piuttosto L.K. Advani, anch’egli politico di lungo corso e ministro degli Interni nei vari gabinetti a cavallo del millennio. Vajpayee era stato eletto per ben 10 volte al Lok Sabha, la Camera dei deputati indiana, e per 2 volte al Raja Sabha, il Senato, ma già nel 1942 era attivo nel Movimento indipendentista ‘Quit India’. Due anni prima era entrato a far parte dei quadri del Rashtrya Swayamsewak Sangh (RSS), il gruppo coagulatosi attorno all’idea di una India per gli indù dalle cui fila sarebbe uscito poi l’assassino del Mahatma Gandhi.

Eppure, nel corso della sua lunga carriera politica, il volto di quest’uomo dall’aspetto bonario, sebbene associato politicamente ad un gruppo esclusivista, non ha mai dato adito ad atteggiamenti di discriminazione. Sarà piuttosto ricordato per la sue doti di oratore politico e per le sue grandi capacità poetiche, elementi che ne hanno offerto una immagine gentile. In passato aveva pubblicato un libro di 51 poesie da lui composte.

Negli anni Cinquanta, Vajpayee si trovò in prima linea come uno dei padri fondatori del Jan Sangh, un partito nazionalista-socialista che sarebbe poi confluito negli anni Settanta nel Janata Party, il gruppo che sarebbe stato capace di sconfiggere per la prima volta il Congresso e di conquistare il governo del Paese. Il primo ministro Moraji Desai affidò a quest’uomo il ministero degli Esteri, ma il governo durò poco e il Janata Party sparì velocemente dalla scena politica dell’India.

Vajpayee fu, allora, ancora una volta fra i fondatori del BJP e questa volta ebbe maggiore fortuna anche se nelle elezioni del 1984, nell’ondata emotiva per la morte di Indira Gandhi, il nuovo gruppo riuscì a conquistare solo due seggi. Ma il partito era destinato a crescere e 12 anni più tardi conquistò una maggioranza relativa che diede all’ormai consumato politico del Nord dell’India la possibilità di tentare la formazione di una coalizione di governo.Il tentativo durò solo 12 giorni, poi Vajpayee dovette rinunciare, ma per tornare al governo nel 1998 e rimanerci fino al 2004.

In quegli anni si trovò ad affrontare momenti complessi sia all’interno, in particolare con i partiti del Sud, ma anche a livello internazionale, in particolare con l’eterna problematica del Kashmir e le relative tensioni con il Pakistan. Passò dallemtensioni note come ‘crisi di Kargil’, quando India e Pakistan sfiorarono una guerra che poteva diventare atomica, all’apertura di un servizio di bus fra Delhi e Lahore, che lui stesso inaugurò come passeggero nel primo viaggio effettuatosi fra le metropoli dei due Paesi.

atal-bihari-vajpayee-foto-apMolti lo hanno definito, e probabilmente non a torto, ‘l’uomo giusto nel partito sbagliato’. In effetti, se paragonato all’attuale governo dello stesso partito, le ricadute sulle minoranze non furono altrettanto preoccupanti ed il clima che il BJP aveva creato era tutt’altro che di insicurezze e discriminazione. Un amico giornalista, che gli era stato accanto come consulente politico, ha scritto in questi giorni che lo sforzo più ammirevole di questo uomo era stato quello di tentare di liberare il Paese dalla prigione del passato, cercando di risolvere due grandi problemi: la questione del Kashmir e quella del Pakistan.

Ancora oggi l’India sta cercando una soluzione a questi grandi nodi e, dopo i due governi di Manmohan Singh del Partito del Congresso e quello attuale di Modi del BJP, ci si rende conto che la linea politica di Vajpayee, che aveva cercato una soluzione pacifica, resta l’unica perseguibile.

Aveva rischiato, ricorda Kulkarni, ad azzardare una visita nella vallata del Kashmir, allora – come spesso accade da 70 anni – teatro di violenze e tensioni. Ma la sua presenza e le sue parole con il suo tipico tono rassicurante, avevano convinto i kashmiri che Delhi poteva essere dalla loro parte. Era profondamente convinto che la soluzione del problema non poteva e, ancora oggi, non potrà essere univoca, solo da parte indiana o pakistana. Deve essere pensata e maturata con una politica comune dei due Paesi.

Ho accennato all’iniziativa del viaggio in autobus fra Delhi e Lahore. Si tratta di uno dei gesti di buona volontà per la pace che più ha avuto effetto, purtroppo seguito da altre crisi che lo hanno invalidato. Eppure funzionari pakistani riconobbero il coraggio di quest’uomo che rischiò anche in quell’occasione, tenendo conto della crisi fra i due Paesi.

Proprio a Lahore, nella capitale del Punjub pakistano, ricorda ancora Kulkarni, l’allora primo ministro rivolse uno dei discorsi più memorabili della sua carriera politica, invitando la gente delle due nazioni a camminare insieme sulla strada dell’amicizia. Concluse il suo intervento con una delle sue poesie, un brano molto noto. In effetti, anche la sua politica interna fu sempre caratterizzata dallo sforzo di ottenere consensi per una coalizione duratura più che insistere su un programma monopartitico, dettato dal fondamentalismo religioso.

Rinunciò per questo ad alcuni punti dell’agenda politica del RSS per trovare un terreno comune con altri. Qualcuno in questi giorni, e anni dopo la sua progressiva sparizione dalla scena politica a causa della salute e dell’età, si rende conto che quest’uomo, oltre ai tratti del gentiluomo, ha avuto anche la visione dello statista.

Vajpayjee si trovò anche ad accogliere il papa, in occasione della seconda visita di Giovanni Paolo II, nel 1999. Come ha ricordato il card. Oswald Gracias in un comunicato ufficiale, in quell’occasione «ringraziò il papa per aver deciso di visitare l’India nella felice occasione del Deepavali, la festa delle luci che simboleggia la vittoria del bene sul male. Egli aveva commentato che forse la visita papale dava ancora più luce alla festività».

Il politico dal tratto gentile aveva anche una speciale ammirazione per santa Teresa di Calcutta. Egli diceva a proposito della suora: «In un momento storico in cui il genere umano è sempre più guidato da motivi egoistici, lei si donava in modo altruista a coloro che la società aveva abbandonato e dimenticato. In un’epoca di cinismo, ella era simbolo di fede comprensiva».

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