Astrazeneca: i rischi e le illusioni
Non è difficile mettere in ordine i fatti relativi alla vicenda del vaccino di Astrazeneca.
Il nostro problema non è spiegare che l’EMA, dopo aver valutato le informazioni contenute nel database europeo di farmacovigilanza EudraVigilance, ha stabilito che possiamo collegare al vaccino meno di un decesso ogni milione di vaccinati; che questo va confrontato con la mortalità di “almeno” l’1,5% della malattia da COVID (che vuol dire più di un morto ogni 100 malati).
Facile anche capire che la farmacovigilanza (di tutti i prodotti farmaceutici, vaccini inclusi) esiste perché gli effetti avversi che si manifestano una volta su un milione si scopriranno dopo aver usato il prodotto almeno un milione di volte.
Sappiamo tutti quanto vale il rapporto di rischio fra il vaccino e la malattia (fa più di 1 milione diviso 100) e riusciamo a comprendere che a tali condizioni evitare l’uso di un vaccino disponibile durante una pandemia è estremamente più pericoloso che sottoporvi di corsa il maggior numero di cittadini possibile (specialmente se appartengono a categorie a rischio di esposizione per lavoro o per altre condizioni).
No, il nostro problema è altrove.
A me sembra che la nostra capacità di giudizio, come società e collettività, sia ottenebrata dall’illusione del rischio zero.
Un concetto inesistente in natura, e applicato malamente al mondo reale da una cultura difensiva, di stampo legalistico, che prende sempre più piede nel nostro modo di pensare.
La realtà è più semplice: non esiste alcuna procedura (farmaco, vaccino, intervento, diagnostica invasiva) che non abbia un certo rischio in termini di complicanze attese.
Non esiste alcuna decisione, senz’altro nel campo della medicina e della sanità pubblica, che non richieda di bilanciare rischi e benefici.
Questo va spiegato con chiarezza e semplicità alle persone.
E va spiegato che le valutazioni di rischio possono cambiare con il tempo, mentre si accumulano informazioni; che le decisioni di sanità pubblica possono essere diverse in scenari diversi, in base all’andamento dell’epidemia o alla disponibilità delle diverse tipologie di vaccini.
Ma da tempo siamo abituati a vedere questi concetti dalla prospettiva distorta della compiacenza e del consenso politico.
In una società in crisi di valori, che non sa più accollarsi il costo del bene comune e rifugge la responsabilità individuale come una disgrazia personale, il concetto di rischio semplicemente non lo capiamo più.
Siamo abituati a credere che il rischio zero esista e che sia un diritto individuale (di ciascuno, ma non degli altri).
Riteniamo quindi che il rischio, quando si manifesta, sia da attribuire ad un errore, ad un comportamento intenzionale di qualcuno che vuole danneggiarci, a scelte sbagliate di “chi comanda”.
E quando l’ente che vigila sulla sicurezza e gestisce il rischio ci avverte che questo esiste, e ci riguarda, allora urliamo all’incompetenza, al complotto, all’ingiustizia.
Con queste parole non voglio esprimere un giudizio sulle scelte di politica sanitaria dei Paesi europei, del nostro o delle singole regioni; ma intendo sostenere con chiarezza che trovo pericolosissima la proliferazione frammentaria di indicazioni contrastanti, contraddittorie e nebulose fra i diversi territori che compongono non solo l’Unione, ma persino i singoli stati membri.
Flessibilità significa regole comuni, che conducono, se serve, a organizzazioni diverse in situazioni diverse. Invece l’assenza di indicazioni autorevoli e super partes conduce ad un vuoto, che non comporta maggiore libertà, solo frammentazione e smarrimento.
Tutti speriamo e preghiamo ogni giorno che arrivino cure risolutive e vaccini totalmente innocui. Che il virus sparisca, che ogni persona curata o vaccinata possa ottenere il massimo beneficio senza subire alcun rischio.
Ma questo vale sempre e ovunque, per ogni malattia, per ogni vita.
Non è questo, se ci penso, che mi fa paura: non i rischi del vaccino, non la consapevolezza che potrà succedere qualcosa a me, o ai miei cari.
Se ci penso, queste cose le capisco; ed è per questo che mi fanno meno paura.
Se qualcuno mi comunica gli effetti collaterali di un farmaco, posso provare preoccupazione, ma comprendo che conoscendo i rischi possiamo valutare meglio le indicazioni e benefici.
Invece mi fa paura quando la società di cui faccio parte si frammenta e si decompone, perdendo i riferimenti che la tengono insieme. Quando le scelte collettive si prendono in modo difensivo, perseguendo obbiettivi individuali e libertà illusorie, che avvelenano il dibattito e il pensiero collettivo.
Per queste cose, sì, confesso che ci perdo il sonno.