Assenze, violenze e crisi

7 giorni, 7 notizie poco conosciute: il petrolio libico al governo; Libano senza presidente; tensioni in Myanmar e Sri Lanka; crisi cubana; attentati in Kenya; muore Shevarnadze
Proteste dei monaci in Thailandia

Mercoledì 2 luglio: i porti in mano al governo in Libia

Nella grande confusione che regna a Tripoli e Bengasi, così come in tutto il Paese, il governo sembra battere un colpo “riappropriandosi” dei porti e dei terminali petroliferi, in fondo quel che sta più a cuore ai Paesi occidentali. Abdullah al-Thani, premier ad interim, ha annunciato, contestualmente alla dichiarazione del leader dei ribelli, Ibrahim Jodhran, che è stato raggiunto un accordo tra il governo e i ribelli per la “liberazione” di Sidra e Ras Lanuf, dopo Hariga e Zuetina. Non si conoscono le contropartite ottenute dai ribelli.

Giovedì 3 luglio: Beirut senza presidente

Continua la telenovela infinita dell’elezione presidenziale libanese. Anche l’ottava sessione per l’elezione del capo dello Stato che succederà a Michel Sleiman è andata via senza che sia stato raggiunto il numero legale. Prossima sessione il 23 luglio. Intanto il governo ha varato delle misure transitorie per poter continuare a guidare il Paese anche in assenza di presidente. Come si sa, quest’ultimo deve essere cristiano, mentre il premier è musulmano. La situazione è di stallo completo, al punto che uno dei candidati, Michel Aoun, ha invocato l’elezione diretta.

Venerdì 4 luglio: coprifuoco in Myanmar

Continuano le violenze interetniche in Myanmar. Dopo i gravi scontri a Mandalay, la seconda città del Paese, tra musulmani e buddhisti che hanno fatto due morti e decine di feriti, il governo di Naypydaw ha imposto il coprifuoco a Mandalay ed ha schierato più di milel agenti per controllare il terreno. Gli incidenti sono scoppiati dopo la diffusione della notizia della violenza commessa da due giovani musulmani nei confronti di una giovane buddhista, in un bar della città. La situazione sembra sfuggire dalle mani del governo, per violenze inattese, dopo decenni di convivenza pacifica tra buddhisti e musulmani.

Sabato 5 luglio: profughi in Sri Lanka

Nel 2009 era stata dichiarata terminata la lunghissima guerra civile che aveva fatto più di 100 mila morti. Ma gli strascichi della lunghissima lotta continuano a farsi sentire, come testimoniano i flussi migratori dei tamil che chiedono asilo in India e in Australia. La ragione starebbe nelle violente “operazioni di sicurezza” messe in atto dal governo, che a sua volta adduce ragioni di antiterrorismo per le sue azioni. Le “tigri” tamil per lungo tempo avevano reclamato l’indipendenza di una parte del Paese, le regioni settentrionale e orientale. Nuclei separatisti sono effettivamente ancora all’opera.

Domenica 6 luglio: L’Avana e la crisi

Raúl Castro ha ammesso dinanzi alla sessione semestrale del Parlamento cubano l’insuccesso di sei anni di riforme, che non hanno dato i risultati sperati. Ma è convinto che il Paese ha tutti gli atout necessari per superare la crisi economica e sociale. «Non ci scoraggiamo», ha detto con forza. Nella sostanza, a fronte del’aumento di fatturato nei settori dei trasporti, delle comunicazioni, dell’agricoltura, nel turismo e nelle industrie dello zucchero, l’attività mineraria e quella industriale sono calate.

Lunedì 7 luglio: Kenya violento

Riprendono el violene in Kenya. Decine di persone sono state uccise negli ultimi giorni per i blitz di uomini armati nei villaggi di Hindi e di Gamba, nella regione del Lamu, sulla costa. Già a giugno analoghe incursioni erano state perpetrate lì vicino, a Mpeketoni, Porokomo e Witu. Le violenze sono state rivendicate dalle milizie somale, radicali e islamiste, degli al Shabab, che da tempo sconfinano in Kenya per vendicarsi delle attività militari e di intelligence del Kenya per fermare il loro dilagante potere in Somalia. Continuano però i sospetti per gli appoggi che questi attacchi hanno per forza di cose dovuto trovare nella polizia e nelle autorità locali.

Martedì 8 luglio: Shevarnadze fa la riverenza

È morto ad 86 anni, nella sua Georgia, di cui era stato presidente. Dopo essere stato lungamente ministo degli Interni della repubblica sovietica di Georgia, era stato nominato nel 1985 ministro degli Esteri sovietico, al posto dell’immarcescibile Gromiko, imponendo una svolta radicale alla politica estera societica, ponendo così le premesse per la Perestrojka di Gorbacev. Tornato in patria alla fine del periodo di transizione post-sovietico, Shevarnadze era diventato presidente, scalzato poi dall’astro nascente di Mikhail Saakashvilj. Si era allora ritirato a vita privata. Un uomo importante come e più di Gorbachev per la caduta del Muro di Berlino

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