Assegno unico per i figli, riforma epocale

Forte consenso tra i partiti per una riforma equa e radicale in un Paese senza figli. Ma tutto dipende dalle scelte effettive di bilancio.
Figli. Foto di Cristan Gennari

Una riforma storica, di portata epocale, paragonabile a quella agraria che abolì il latifondo nel 1950 o all’istituzione della sanità pubblica nel 1978. È questa la prospettiva evocata da Stefano Lepri, relatore della proposta di legge che delega il governo a istituire l’assegno unico per i figli, una misura che azzera tutto l’esistente (dai vari bonus alle detrazioni fiscali e assegni familiari) per incrementarlo e renderlo accessibile ad ogni soggetto con figli a carico.

Dopo l’esame della commissione affari sociali, il testo a prima firma Delrio, presentato in una prima versione il 4 giugno del 2018, è arrivato alla discussione in aula della Camera il primo luglio registrando un consenso trasversale tra gli intervenuti. Basta leggere i testi dei discorsi o ascoltarne la registrazione sul web per rendersi conto di un clima positivo, difficile da immaginare considerando le divisioni su tanti altri fronti. Di fatto questa generazione di parlamentari si trova davanti a numeri inquietanti, destinati a ripetersi ad ogni aggiornamento dell’Istat che conferma l’implosione demografica del nostro Paese fino a prevedere l’insostenibilità di tutto il sistema, a cominciare dalle pensioni e dalle cure necessarie ad una popolazione sempre più anziana e fragile. Uno scenario paragonabile, secondo gli esperti, alle macerie di un dopoguerra, già prima della pandemia Covid-19.

Troppo lungo e articolato il dibattito sulle origini di una tale disfatta. Molto pragmaticamente i legislatori italiani si limitano a seguire l’esempio degli altri Paesi che semplicemente riconoscono maggiori risorse economiche alle famiglie con figli e lo mettono in pratica senza trappole burocratiche e procedure astruse. Il criterio è quello di separare il trattamento delle famiglie dalle pur necessarie misure di contrasto alla povertà. Ciò vuol dire che, ad esempio, si riconoscono 150 euro mensili per ogni figlio a carico a prescindere da quanto guadagnano i genitori.  Questo principio assoluto è mitigato, nel progetto di legge delega, da un tetto comunque alto di reddito familiare, oltre il quale l’assegno non è dovuto. Un compromesso che esclude solo i ceti più ricchi.

L’esempio dei 150 euro è solo indicativo perché saranno i decreti legislativi adottati dal governo a definire gli importi precisi, le maggiorazioni per i figli ulteriori e per quelli con disabilità. Nel suo intervento introduttivo, Lepri ha detto che si tratta di destinare, ogni anno, altri 6-7 miliardi di euro oltre ai 15,5 miliardi già esistenti (e da riconfigurare) con riferimento ai carichi familiari. Uno stanziamento simile al reddito di cittadinanza, che resta, o ai bonus di 80 euro che confluiranno nella riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti.

La novità dell’assegno unico consiste nel rimediare a palesi distorsioni e iniquità, perché verrà riconosciuto anche agli “incapienti” (coloro che hanno redditi così bassi da non poter applicare le detrazioni fiscali per i figli), e ad altri finora esclusi (autonomi e piccoli imprenditori). “Universale” vuol dire, appunto, riconosciuto tendenzialmente a “tutti”. Anche ai cittadini extracomunitari in possesso, comunque, di una serie di requisiti.

Quindi come sottolinea il relatore della legge, si tratta di una misura equa, continuativa, semplice («non più scale di equivalenza, ogni figlio vale uno»), anche se riconosce che si rivelerà velleitaria se non verrà finanziata dal Ministero dell’economia. Intuitivo, in questo ragionamento, il riferimento alle notevoli risorse europee previste dal Next Generation Fund che, per essere tale, non può non escludere quelle “nuove generazioni” destinate, altrimenti, a non esistere. Si resta, comunque, nel campo incerto delle scelte politiche. «Funzionerà?» si è chiesto Lepri, per poi affermare, onestamente, che «non lo sappiamo, ma abbiamo buone ragioni per crederlo» tenendo conto dei risultati all’estero. Dal Canada alla Russia, dal Child Benefit in Gran Bretagna al Kindergeld tedesco.

Si può intuire che tale franchezza davanti ad un problema abissale abbia agevolato il confronto tra i partiti. «Vogliamo, in questo dibattito, svolgere un ruolo che sia migliorativo, che sia collaborativo» ha confermato Alessandra Locatelli della Lega pur sottolineando la preferenza verso un provvedimento integrale sulla famiglia, non spacchettato tra la legge delega sull’assegno unico e il Family act annunciato dal governo come serie complessiva di provvedimenti sui servizi dedicati alle famiglie. Esigenza ribadita da Roberto Novelli di Forza Italia che ha proposto di non dare delega al governo sull’assegno unico ma di accelerare i tempi con una legge da approvare in tempi brevi. Novelli ha sottolineato l’esigenza di mantenere l’importo intero fino a 21 anni di età a partire dal fatto noto a tutti che «è molto raro che i figli siano fuori casa, indipendenti economicamente prima di quell’età». Sempre a partire dalla realtà, anche Dario Bond (anch’egli di Forza Italia) ha fatto presente che le gravidanze dei ventenni non sono affatto programmate e comportano convivenze forzate a casa dei genitori con l’effetto, da evitare, di conteggiare la famiglia così allargata nel reddito complessivo a fini dell’Isee.

Una premessa ovvia ma ripetuta da diverse parti nel dibattito in Aula ha riguardato la necessità di accompagnare l’assegno unico con l’accessibilità ai servizi essenziali per le famiglie, che fanno parte delle altre misure in cantiere del Family act.

Discostandosi dalle critiche della sua collega di partito, Maria Teresa Baldini,  sul possibile  assistenzialismo indotto dall’assegno unico, Maria Teresa Bellucci ha ribadito che «Fratelli d’Italia sarà sempre a supporto di qualsiasi iniziativa possa sostenere la natalità in Italia». L’esponente della destra ha affermato che in Italia «è successo alla sanità in questi anni quello che è successo alla famiglia, visti entrambi come dei costi, e non come degli investimenti» strategici. La Bellucci ha ricordato che statisticamente «67 donne su 100 che hanno avuto un figlio escono fuori dal mercato del lavoro». Mentre Elena Carnevali, del Pd, ha citato la recente e preoccupante relazione dell’ispettorato del lavoro sul dato anomalo di 37 mila dimissioni di lavoratrici neomamme nel solo 2019.

Insomma sembra che sia diffusa l’esigenza di un cambio di prospettiva nel campo delle politiche familiari, con l’assegno unico a fare da architrave di una riforma strutturale.

Ma, come è avvenuto con la riforma agraria e il servizio sanitario pubblico, restano in campo gli interessi contrastanti e il nodo delle risorse effettive che si vogliono impegnare. Colpisce perciò il fatto che il dibattito si sia interrotto nell’Aula al momento di esaminare il testo della legge delega perché, come ha spiegato il presidente protempore dell’assemblea di Montecitorio, «la Commissione Bilancio, avendo richiesto al Governo una relazione tecnica, non ha espresso il parere sul testo della proposta di legge».

Tale parere decisivo arriverà in tempo, secondo il deputato Lepri da noi interpellato, per licenziare il testo a metà luglio che passerà al Senato e delegare, infine, il Governo ad adottare (entro 12 mesi) «uno o più decreti legislativi volti a riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e universale».

Un percorso molto lungo. Nel frattempo la discussione politica è incentrata sulle polemiche relative al decreto semplificazione, definita da Conte la “riforma madre”, il contenzioso sul ricorso al prestito del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), che potrebbe portare ad un cambio di maggioranza, la definizione del Recovery Fund europeo che offrirà i numeri reali degli investimenti possibili per il piano di rilancio che l’Italia è tenuta a presentare nel tempo più breve per il bilancio 2021.

Ed è a questo livello che si deciderà il peso effettivo della “riforma epocale” dell’assegno unico, considerata, come afferma Lepri nella relazione al testo, l’applicazione della Costituzione: la «straordinaria e unica esperienza» della generazione dei figli «consente di vivere la fratellanza, che è la prima e principale esperienza di rispetto, condivisione, senso del limite, apre a nuove relazioni tra genitori, chiama la reciprocità parenti nipoti e nonni, permette di intuire il mistero della vita e di comprendere il susseguirsi delle generazioni».

Parole intense e inusuali per un dibattito da seguire con attenzione.

Qui il resoconto stenografico del dibattito alla Camera del primo luglio

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