Assegnato il premio Chiara Lubich per la fraternità
Quando il direttivo dell’associazione Città per la fraternità decideva l’argomento e la data del suo annuale convegno, era settembre, un periodo lontano dai fatti di Parigi. Eppure il 17 gennaio, solo 10 giorni dopo la triste vicenda di Charlie Hebdo, l’Associazione invita presso il Campidoglio, sede di Roma Capitale, alla tavola rotonda Dialogo e Comunità, quale rapporto con la fraternità? – Dall'impegno locale a quello globale per una nuova coesione sociale.
Nonostante le accomuni l’accento, comunità e fraternità sembrano non fare rima con umanità, società, globalità. Eppure, ascoltando gli interventi susseguitisi durante la tavola rotonda, moderata dal direttore di Città Nuova, Michele Zanzucchi, si può dire che non è tutto così nero. Le varie prospettive sono state portati avanti da un politologo ed esperto di politica internazionale, Pasquale Ferrara, da un urbanista, Fernando Lugli, da un’etnoantropologa, Antonietta Di Vito, dal referente della comunità islamica di Firenze e della Toscana, Mohamed Bamoshmoosh, e dal cardinale brasiliano JoãoBraz de Aviz.
Ampie, variegate e stimolanti, dunque, le angolature di osservazione.
Intanto il minimo comune multiplo è stata la città, luogo principe della vita delle persone e che in Italia, per storia e tradizione, ha ancora, nonostante le mille crisi, un suo solido baricentro vitale e politico. Presente, a nome del sindaco Ignazio Marino, l’assessore alla Scuola Paolo Masini, che ha letto un messaggio del primo cittadino, oltreché portare il suo personale saluto.
«Il Comune è la più importante realtà, perché la più vicina al cittadino», ha spiegato Milvia Monachesi, presidente nazionale dell’associazione Città per la fraternità, «È attraverso l’operato del Comune – continua Monachesi – che si proverà infatti gratitudine e collaborazione o si maturerà le contrarietà nei confronti delle Istituzioni».
Pasquale Ferrara ha sottolineato che «le città sono da sempre luoghi di pluralismo e di diversità, dove tutti e ciascuno collaborano con le istituzioni locali per la loro promozione e per questo non di rado avvezze a dinamiche sociali problematiche. Non più chiuse in se stesse, per le città oggi la vera sfida è la coesione». La città, aggiunge Ferrara, va «“ri-concepita” come la punta avanzata della globalizzazione perché è qui che le crisi internazionali hanno la loro ricaduta». La soluzione potrebbe essere quella di «pensare globalmente e agire localmente, risolvendo le fonti di attrito lì dove nascono». Il riferimento è anche ai fatti di Parigi, con il ricordato attentato, e alla complessa banlieue parigina, anche se in realtà è un fenomeno che tocca tutte le città, specie le più grandi.
Secondo l’antropologa Di Vito certe tensioni a livello locale e soprattutto globale sembrano essersi prodotte per «lo sganciamento del concetto di “liberté” e “legalité” da quello di “fraternité”». Termini «che non sono stati coniugati con la stessa intensità nell’organizzazione della vita quotidiana». Quella “fraternité” «la cui assenza rende vani e zoppi la libertà e l’uguaglianza». «La fraternità è categoria politica» ben più ampia, spiega ancora Pasquale Ferrara, che auspica una vera integrazione e non già un’assimilazione, «quella per cui lo straniero deve annullarsi e divenire come noi: sarebbe sbagliato ontologicamente», ma anche perché nulla è statico e la società, essa stessa in trasformazione, continua, «chiede anche a noi di trasformarci». Fernando Lugli, urbanista, mette in rilievo che non è conveniente adottare il cosiddetto “metodo al ribasso”, fatto di rinunce reciproche purché si arrivi ad un punto di incontro: «Un punto grigio, con perdite da ambo le parti e tutto questo solo per rendere accettabile la convivenza». L’arricchimento che viene dalle diverse esperienze culturali è invecealla base del progetto partecipativo della Moschea di Firenze voluto dalla comunità islamica Toscana, di cui è capo il cardiologo yemenita Mohamed Bamoshmoosh, che racconta il coinvolgimento di tutta la cittadinanza, chiamata ad esprimersi – perfino dal punto di vista architettonico – sulla creazione del luogo di preghiera dei musulmani, concepito come “spazio pubblico”, novità rilevante e nient’affatto scontata. Un intervento che coinvolge e stupisce l’uditorio.
Il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata, fa un viaggio nelle città legate alla sua vita personale, prima nel Paese natale, dove il senso di fraternità è stato sperimentato per primo, e necessariamente, in una famiglia povera e numerosa, e poi nella Capitale Brasilia, «una città costruita “artificialmente” nel 1960 e abitata per un terzo da poveri e da tanti ricchissimi». Un accenno di gratitudine che il cardinale riserva a Chiara Lubich e al Movimento dei Focolari per la lezione di vita contro ogni fanatismo religioso. «Ho imparato l’apertura alla diversità – spiega –. Ho capito che io non sono fatto per la mia Chiesa soltanto. Devo allargare il mio cuore a tutti coloro che incontro».
A seguire il conferimento del 6° Premio Chiara Lubich per la Fraternità, esattamente 15 anni dopo, nello stesso luogo, il Campidoglio, dove Chiara Lubich ricevette la cittadinanza onoraria di Roma. Quest’anno i premi sono stati assegnati ai Comuni di Tolentino e San Severino Marche per progetti comuni e distinti volti al coinvolgimento delle città a progetti di fraternità; ai Comuni umbri di Cannara e Foligno che si sono distinti per l’impegno di un imprenditore lungimirante recentemente scomparso, Walter Baldaccini, attento alla persona ed al territorio; due menzioni d’onore alle città di Pisa e Trieste e il primo premio, per la prima volta ad un Comune non italiano, Cannes, famosa per la sua Costa Azzurra e i tappeti rossi del cinema, ma oggi per aver dato voce ad un progetto – Vivre ensemble à Cannes – di cui necessita parlare con più attenzione in queste pagine.