Assalto alla sinagoga di Pittsburgh

È il quarto attentato in un luogo di culto motivato da odio e pregiudizi razziali. Il clima avvelenato delle prossime elezioni di medio termine continua a fomentare la divisione, ma la città sceglie di lavorare per l’unità e di proteggere la comunità ebraica che da oltre cento anni ne è parte fondante.

«Tutti gli ebrei devono morire». È stato questo il grido di battaglia che Robert Bowers ha lanciato mentre falcidiava con un fucile d’assalto AR-15 la comunità ebraica riunita nella sinagoga  Tree of Life* Or L’Simcha Congregation di Pittsburgh in Pennsykvania, negli Stati Uniti d’America.

Sotto lo stemma in legno dove sono incise le parole “More light. More life – Più luce. Più vita”, sono morte 11 persone: fratelli, marito e moglie, amici. Molti ultraottantenni, quindi scampati a ben altre persecuzioni in Europa, che non pensavano certo che ieri sarebbe stato il loro ultimo giorno di Shabatt sulla terra.

Il medico legale aveva gli occhi rossi mentre leggeva la sequenza di nomi e, ai giornalisti che chiedevano dettagli sulla morte, ha risposto che i proiettili erano ovunque e di non essere ancora riuscito a contarli. Nello stesso tempo, ha voluto assicurare che durante gli accertamenti legali, già sul pavimento della sinagoga, erano presenti i rabbini e che le salme erano state trattate con onore e dignità come conviene alla tradizione ebraica.

«Una delle peggiori scene di crimine che abbia mai visto durante tutta la mia carriera», ha commentato un agente dell’ FBI, con 22 anni di servizio alle spalle e a capo delle investigazioni. La sinagoga, situata nel traquillo quartiere di Squirrel Hill, il cuore ebraico di Pittsburgh, da oltre cento anni è un punto di riferimento non solo per la comunità ebraica, ma per l’intera città.

Il sabato il tempio accoglie ben tre gruppi di fedeli e, ieri, uno di loro stava celebrando la festa del nome, per un bimbo nato da qualche settimana. Il pronto intervento delle squadre d’assalto e della polizia ha impedito che il killer continuasse il suo massacro: aveva portato con sè anche tre pistole e stava uscendo dalla sinagoga quando ha ingaggiato uno scontro  a fuoco con gli agenti che lo hanno leggermente ferito, prima di catturarlo nello studio del rabbino.

Bowers aveva un arsenale di 21 fucili, acquistati con regolare licenza e che aveva esposto sui social media di cui era assiduo frequentatore. E proprio proprio cinque minuti prima di entrare in azione aveva pubblicato un post su Gab, un social network che si autoproclama «un paradiso per la libertà di parola», mentre in realtà è un’app nata come luogo di incontro per attivisti di estrema destra e nazionalisti bianchi le cui opinioni non sono gradite su altre piattaforme social media.

Nel post, «sto entrando», Bowers avvertiva di non poter restar seduto e guardare la sua gente venir massacrata. Il killer si riferiva alla carovana di immigrati che, partita dall’Honduras, si sta avviando verso gli Usa e che nelle ultime settimane continuava a definire «invasori», convinto che questi sfollati fossero violenti poichè provenivano da paesi violenti.

Studiando le sue interazioni social, si è scoperto che 17 giorni prima della strage, Bowers, aveva inviato messaggi antisemiti al sito di Hias, un’organizzazione ebraica sorta nel 1881 per aiutare gli ebrei in fuga dall’Europa orientale, ma che a partire dal 2000 aveva ampliato il suo ambito d’azione verso i rifugiati non ebrei, da Afghanistan, Bosnia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Etiopia, Haiti, Marocco, Vietnam.

Hias, proprio la scorsa settimana, aveva invitato tutte le congregazioni ebraiche a dedicare uno Shabbat ai rifugiati e la sinagoga di Tree of life vi aveva aderito. Forse sarà stato questo a far scattare il piano di Bowers, che aveva commentato con disprezzo un post sui «camion contrassegnati con la Stella di David che stavano portando i migranti dell’America centrale negli Stati Uniti».

Mentre si attendono gli sviluppi delle indagini, il procuratore generale ha annunciato che per le imputazioni a cui è soggetto, Bowers rischia la pena di morte. L’attentato alla sinagoga è il quarto perpetrato in un luogo di culto, edifici ritenuti sacri e inviolabili e che invece, negli ultimi anni sono stati anch’essi scenari di stragi: nel 2017 nella chiesa battista in Texas dove morirono 26 persone, nel 2015 era stata la volta del Connecticut e dell’assassinio di 9 afroamericani da parte di un giovane bianco, mentre nel Wisconsin ad essere stato preso di mira era stato un tempio sik dove a morire erano stati in sei.

Ieri sera una veglia di preghiera interreligiosa, organizzata da giovani studendi, ha percorso le strade attorno alla sinagoga, mentre si cantava “Shabbat- Shalom” e la gente esponeva cartelli con scritto “Ama il tuo vicino senza nessuna eccezione”, a ricordare che «è più ciò che ci unisce di quanto ci divide e questo orribile accaduto non appartiene alla nostra comunità». Lo stesso concetto è stato ribadito dal sindaco di Pittsburgh, William Peduto, che ha invitato tutti a restare uniti e a lavorare insieme per estirpare l’odio e la violenza «non solo dalla nostra città e dalla nostra nazione, ma dal mondo intero. Quanto accaduto alla sinagoga Tree of life è una macchia per l’intera famiglia umana. Noi sappiamo di essere uno e non divisi».

L’appello all’unità è stato lanciato anche dal presidente Trump: il paese in meno di 72 ore si è trovato ostaggio di uno squilibrato che ha inviato bombe per posta ad esponenti del partito democratico, al miliardario ebreo Soros e anche agli ex presidenti Usa; c’è stato un uomo bianco che ha tentato di assalire una chiesa di afro-americani e ha ucciso una coppia e c’è stato l’attentato nella sinagoga. Tutti i crimini sono stati collegati al clima di divisione, di sospetto, di demonizzazione con cui si sta conducendo la campagna elettorale per le elezioni di Mid-Term, dove i termini “male”, “demoniaco”, “invasori”, sono ormai lessico ordinario.

Il presidente, inoltre, si è detto sorpreso del fatto che la sinagoga non avesse un servizio di sicurezza adeguato, ma il sindaco non si è lasciato intimidire dalle velate insinuazioni presidenziali e ha ribadito che il vero problema è «la facilità di accesso alle armi. È impossibile controllare tutti gli edifici e soprattutto i comportamenti irrazionali di chi ha seri disturbi mentali. Il vero problema è come tenere lontane le armi dalle mani di chi esprime odio, disagio mentale, violenza e si sfoga uccidendo». Un problema su cui il presidente e le lobby delle armi preferiscono tacere.

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