Aspettando il Leone
Si sa com’è, il totoleone è già sbarcato al Lido e sui media. I candidati non mancano in una edizione migliore delle altre, in cui il cinema ha mostrato di percepire il mondo contemporaneo globalizzato, rivisitando storie, biografie, generi – tra il western, l’epico, l’horror – e religione. Naturalmente con stili diversi, per non dire opposti. Si vedrà stasera come andrà la “rivisitazione” dei Magnifici 7, dopo che Konchalovsky nel suo Paradise ha rivisitato la Shoah in un lavoro in bianco e nero più di fantasmi che di narrazione, un po’ sull’onda del sulfureo Il figlio di Saul ungherese. Chi vincerà il Leone? Ozon, col malinconico Frantz, Larraín con la sfolgorante fredda Jackie, oppure il romantico Una vie francese, il misterioso Arrival o lo stesso Paradise? E se la giuria, immersa nei suoi giochi, scegliesse invece un musical dolcemente nostalgico come La La land a portare un po’ di leggerezza al mondo rattristato di oggi, oppure l’ironico argentino El ciudadano ilustre (uno dei migliori per chi scrive)?. Vedremo, dato che manca ancora all’appello Kusturica, il cui film viene proiettato stamane. Si spera solo che non vinca un candidato di compromesso, un lavoro spacciato per “arte”, quando non lo è, come accadde l’anno scorso….
Ma torniamo in Italia, dove ieri s’è visto Questi giorni di Giuseppe Piccioni. A diversi non è piaciuto, eppure è forse il migliore dei prodotti nostrani approdati in laguna. Piccioni è regista serio, pensoso, umbratile, scrupoloso. Nulla è mai scontato in lui. Non è lieve come Muccino o con intenti autoriali come Rossi Stuart, Piccioni fa davvero e da tempo cinema d’autore. Qui racconta la storia di quattro ventenni, amiche più per il vissuto quotidiano che per affetto sincero. Dipinge caratteri, situazioni familiari – la madre di una (Margherita Buy nel classico suo ruolo della donna un po’ nevrotica), un padre che è una nullità (Sergio Rubini) – come bozzetti di una storia molto “normale” in provincia. Le ragazze accompagnano una di loro a Belgrado, dove andrà a lavorare, più per fuggire la noia che per sincera amicizia: ognuna infatti è un mondo a sé. C’è la timida innamorata del suo professore – un impacciato, balbuziente Filippo Timi –, che nasconde a tutti il tumore che l’ha presa, la ragazza che si trova incinta per "distrazione", ma vuole tenere il bambino, quella “tradita” dal fidanzato e quella determinata a fuggire, che incontra durante il viaggio il fratello prete, un giovane che vive in un clima sospeso.
È infatti la sospensione l’atmosfera che aleggia nelle due ore del racconto, tra incontri con ragazzi serbi, litigate, voglia di rimanere unite, nonostante tutto. Ma tutto è così fragile, indistinto, malinconico. Il dialogo è difficile, non solo tra generazioni – la figlia e la madre – ma all’interno della medesima generazione. Nessuna si svela mai del tutto. Eppure ognuna vorrebbe l’amore, il grande tema del film – cercato, deluso, sofferto –, che ondeggia tra la narrazione di un quotidiano fatto di certi riti – passeggiate, discorsi, bar, discoteche, spiagge, sesso – e la nascosta sofferenza di chi si sente, in definitiva, solo. Piccioni legge della gioventù attuale appunto questa reale solitudine – meglio di altri colleghi “piacioni” e leggeri –, di qui la malinconia del racconto, la voglia di dire e la difficoltà di esprimerlo, ma anche il desiderio di fare di una vacanza una esperienza vitale. Forse un po’ troppo lungo e con qualche inserto che andava accorciato – le scene della Buy, ad esempio –, il film è comunque prezioso per la sua personalità, da rivedere con calma, e potrebbe vincere qualche riconoscimento. Vedremo.
In sala è già arrivato Tommaso di Kim Rossi Stuart, escono poi il glorioso americano con gli alieni Indipendence day, la deliziosa commedia francese Un amore all’altezza, e – da non perdere – il bellissimo Un padre, una figlia.