In Asia fra religioni, missione e creato
È di questi giorni l’annuncio ufficiale – anche se almeno in parte già noto – del viaggio che papa Francesco realizzerà in Oriente nel novembre prossimo. Le mete saranno due Paesi simbolo dell’Asia, sia pure per motivi e con caratteristiche diversissime l’uno dall’altro: Thailandia e Giappone. Sarà una settimana intensa che vedrà Bergoglio nel continente asiatico per la quarta volta, dopo la Corea nel 2014, lo Sri Lanka e le Filippine nel 2015 e Myanmar e Bangladesh nel 2017. In Thailandia il papa si fermerà dal 20 al 23 novembre e in Giappone dal 23 al 26. Qui toccherà Tokyo, Hiroshima e Nagasaki. Sintomatici i due motti scelti dalle rispettive conferenze episcopali. “Discepoli di Cristo, discepoli missionari” è quello del viaggio in Thailandia, che intende richiamarsi ad un anniversario importante, i 350 anni dell’istituzione del Vicariato apostolico del Siam, eretto nel 1669. Il motto della seconda parte del viaggio, quella in Giappone, si concentra, invece, sulla tutela della vita e del creato: “Proteggere ogni vita”. Da notare che la “ti” di vita è elaborato a forma di croce. Questo secondo motto è tratto dalla Preghiera cristiana con il creato che conclude l’enciclica di Francesco Laudato si’ sulla cura della casa comune. Il senso è molto chiaro. Si tratta di una esortazione a rispettare non solo la dignità di ogni persona, ma anche l’ambiente, soprattutto in un Paese come il Giappone, in cui la minaccia nucleare «rimane un problema persistente».
La visita in programma a novembre continua in modo coerente la linea del pontificato di papa Francesco e, potremmo dire, ne porta due caratteristiche precipue: da un lato è un incontro con comunità cattoliche fortemente minoritarie e di periferia. In entrambi i Paesi, infatti, la popolazione cristiano-cattolica è un piccolo gregge: intorno allo 0,5% della popolazione. Questo significa 500 mila circa in Giappone, dove la maggioranza della popolazione è di tradizione scintoista e buddhista in un contesto sociale però fortemente secolarizzato, e meno di 400 mila in Thailandia dove i buddhisti sono al 95%. Dall’altro, si rivolge a due Paesi buddhisti, anche se molto diversi l’uno dall’altro. La Thailandia è, infatti, la capitale del buddhismo theravada mentre il Giappone, principalmente e culturalmente scintoista, conserva una forte influenza del buddhismo mahayana. Quindi, come abbiamo già visto all’inizio di quest’anno quando Bergoglio si è recato ad Abu Dhabi e in Marocco per incontrare i musulmani e le piccole diaspore cattoliche, anche questa nuova esperienza asiatica si pone sulla linea del dialogo interreligioso, in particolare con il buddhismo, religione presente in quasi tutti i Paesi asiatici di cui ha fortemente influenzato, sia pure con una varietà di sfumature, le diverse culture.
Anche l’incontro con il buddhismo ha una sua rilevanza. Preoccupano, infatti, frange fondamentaliste anche all’interno di questa religione, soprattutto nello Sri Lanka e proprio nel sud-est asiatico. In Giappone, il buddhismo, a forte influenza shinto, è fortemente impegnato sia nella prevenzione del nucleare che nel gettare ponti di pace. Ma non bisogna sottovalutare anche nella terra del sol levante il forte nazionalismo. Non bisogna, poi, dimenticare un aspetto squisitamente personale: il papa gesuita non ha mai nascosto che il Giappone costituiva il suo sogno da giovane novizio. Sperava, infatti, di essere mandato in quell’angolo di Asia come missionario. Vi andò a trovare un amico gesuita nel 1987, ma solo per qualche giorno.
In sintesi, la visita del prossimo novembre si svolgerà all’insegna di due prospettive: una chiara geopolitica ecclesiale – quella delle periferie –, una geopolitica mondiale – quella del dialogo con altre religioni per la causa della pace e della salvaguardia del creato – con una valenza di esperienza personale da non sottovalutare. Francesco aveva, del resto, già tradito il suo desiderio di visitare il Giappone un anno fa. Il 12 settembre 2018, infatti, incontrando alcuni membri dell’associazione giapponese Tensho Kenoh Shisetsu Kenshoukai – nata 20 anni fa a Miyazaki per far conoscere la figura di Mancio Ito, giovane giapponese giunto in Europa nel 1500 per iniziativa dei missionari gesuiti – il pontefice disse: «Vorrei annunciarvi la mia volontà di visitare il Giappone l’anno prossimo. Speriamo di poterlo fare». Ora quella speranza è diventata realtà.
Altri due aspetti importanti in Giappone saranno le tappe di Nagasaki e Hiroshima, legate al drammatico ricordo delle uniche due città che nella storia hanno sperimentato la potenza distruttrice degli ordigni atomici. È facile immaginare che in tale contesto il papa rinnoverà la sua ferma condanna dell’uso e anche del possesso delle armi nucleari. Come noto, si tratta di un tema che sta molto a cuore a Bergoglio, che nel gennaio 2018 ai giornalisti che seguivano il suo viaggio in Cile aveva voluto fosse distribuita la foto del “bambino di Nagasaki”, un’immagine, scattata dopo il bombardamento atomico di Nagasaki, che mostra un bimbo che porta in spalla il fratellino morto. Il Pontefice l’aveva già fatta distribuire a fine dicembre, con la lapidaria didascalia: “Il frutto della guerra”.
Un secondo aspetto della visita è legato ai cosiddetti kakure kirishitan, cristiani che vissero nascosti professando la loro fede in assoluto segreto, durante i due secoli in cui il cristianesimo era stato proibito in tutto il Paese, per poi riapparire ai missionari che tornarono in Giappone dopo la riapertura dei rapporti con l’Occidente del 1853. Tra i discendenti di questi cristiani nascosti c’è anche l’arcivescovo di Osaka, Manyo Maeda, creato cardinale da Francesco nel giugno 2018.
La visita in Thailandia, accanto all’aspetto del dialogo con il buddhismo theravada, si collega con lo sforzo missionario che la Chiesa cattolica da secoli ha realizzato nel sud-est asiatico – come pure in Giappone del resto –, ma con scarsi risultati, almeno dal punto di vista del numero dei cristiani attuali. In una recente visita in Thailandia il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, aveva sottolineato la necessità di un nuovo slancio missionario, che faccia seguito a quello pionieristico dei secoli scorsi. Filoni ha invitato la Chiesa locale a farsi portatrice e testimone di missione all’interno del Paese in cui vive. D’altra parte, la Thailandia ha conosciuto negli ultimi decenni anche esperienze coraggiose di dialogo interreligioso. Basta pensare alla dimensione monastica fra monaci trappisti, cistercensi ed altri e monaci buddhisti, di cui Thomas Merton – morto proprio a Bangkok a causa di un incidente – è stato uno dei pionieri più riconosciuti. Più recentemente, insieme ad altre esperienze, non si può ignorare la coraggiosa testimonianza di Chiara Lubich, che negli anni Novanta del secolo scorso portò in Thailandia la sua esperienza cristiana su richiesta di monaci buddhisti, dando il via ad un fruttuoso dialogo che continua tutt’ora.
Dunque, un’agenda fitta quella di papa Francesco nel sud-est asiatico e nell’Estremo Oriente, che cerca di coniugare missione e dialogo, pace e salvaguardia del creato, realtà importanti per la Chiesa non solo in quella parte di mondo dove i cristiani sono chiamati a lavorare per questi ideali insieme a persone di tradizione buddhista.