In ascolto dei giovani
La giornata di pioggia a Roma non ha scoraggiato i circa 7 mila ragazzi convenuti in Aula Paolo VI nel pomeriggio del 6 ottobre per partecipare all’evento. Al Sinodo i giovani fanno sentire la loro voce, vogliono essere protagonisti e corresponsabili. Sono presenti all’appello di una chiesa che li vuole ascoltare, partecipi di quella che molti considerano una “conversione di tutta la chiesa”.
Si entra in Aula Paolo VI. Nelle prime file della platea, papa Francesco e i padri sinodali, non semplici spettatori ma in ascolto profondo di quei ragazzi che, al termine dell’incontro, consegneranno loro tante domande su cui riflettere e interrogarsi.
Ad aprire l’evento, l’entusiasmo coinvolgente dei giovani di Dance Lab di Montecatini. Sono presenti sul palco cento ragazzi di diverse nazionalità: dalla Terra Santa, agli Stati Uniti, al Benin, Cuba, l’India, Hong Kong, il Brasile. «In rappresentanza dei giovani di tuto il mondo, dice una di loro, vogliamo farvi fare un viaggio alla scoperta di noi, delle nostre vite», «vorremmo avvicinarvi al nostro mondo». Presenta l’evento Giovanni Scifoni che, con un po’ di emozione, sottolinea: «Siamo dentro ai lavori del Sinodo, stiamo lavorando insieme a loro, è un onore».
Un pomeriggio scandito da momenti artistici, musicali e testimonianze su tre temi: la ricerca della propria identità, le relazioni e la vita come servizio e donazione. Ogni testimonianza va dritta al cuore. Quanto è difficile per un giovane trovare la sua identità? Lo racconta Daniel, 26 anni, che ha compiuto i suoi 18 anni in una cella del carcere Beccaria di Milano. L’insofferenza per i compagni di cella, ragazzi rom, la violenza, poi l’esperienza di una comunità che lo accoglie, ma la difficoltà a camminare da solo. Tornato a casa, a Quarto Giaro, commette un altro reato e torna per sei mesi in carcere per adulti, a S. Vittore. Dopo avere ‘toccato il fondo’, torna in comunità e cambia la sua vita. Ora frequenta la facoltà di Scienze della formazione. «Imparo molto da persone di culture e religioni diverse dalle mie», dice. «Per accompagnare i giovani alla fede bisogna fare ritrovare le loro domande perdute». «La proposta cristiana è bella perché è esigente, perché interpella seriamente la mia libertà e non mi propone facili scorciatoie per la felicità». «Non dimenticatevi di noi”, conclude rivolto ai padri sinodali, «di quei giovani che per un misterioso disegno della vita hanno conosciuto l’abbandono, il carcere, la solitudine».
Gli fa eco Aziz, nato in Iraq, che per un attacco terroristico al villaggio in cui abitava è stato costretto a fuggire con la sua famiglia: «Pensate cosa vuol dire in un momento perdere tutto», dice. In mezzo a tanto dolore, racconta, «mi è venuto in mente Gesù, quando grida al Padre: perché mi hai abbandonato? Allora ho deciso di aggrapparmi a lui”. La famiglia riesce a raggiungere la Francia, dove ritrova la sua serenità e la fede: «Sono stato salvato da Gesù Cristo e sono riuscito a perdonare i terroristi».
Si susseguono le testimonianze, i momenti musicali, si affrontano temi importanti, esistenziali: le scelte, la vocazione, il lavoro. Ad arricchire l’incontro la presenza del cantante Giovanni Caccamo che dopo l’esibizione artistica, si ferma a parlare del ‘per sempre’. Non è questione di fortuna trovare la persona che si amerà per sempre, commenta, è un esercizio, perché bisogna coltivare le relazioni con gli altri e con le nostre radici, con la nostra famiglia, con i nonni.
Poi parla Anna, che in una struttura che si occupa di malati, incontra un paziente terminale, che sta perdendo tutto, la famiglia, le sue cose, sente di essere solo. Le chiede: «Credi in Dio? ». Inizia tra i due un dialogo profondo e lei dice: «Quello che vivi è Gesù Abbandonato» e insieme, leggendo il Vangelo, fanno esperienza della presenza di Dio tra loro.
Lascia senza parole il racconto di Giulia 23 anni, che fa parte del Corpo civile di pace, progetto nato da una ‘semplice’ e rivoluzionaria ispirazione: credere che la non violenza sia l’unico mezzo per avere la pace. Vive in Libano, nel campo profughi di Tel Abas, al confine con la Siria. «La guerra distrugge tutto, l’odio distrugge tutto», spiega. «Tutti noi siamo pronti a pagare il dazio della nostra esistenza, dare perché abbiamo già avuto». Con i profughi condivide gioia, dolore e quotidianità: «La mia vita non vale più di un’altra…. La mia fede è amore, amore di confronto e di conforto».
Al termine della serata il papa sale sul palco per ricevere le tante domande che i giovani hanno posto sul senso della vita, le diseguaglianze sociali, l’accoglienza di chi è diverso. Papa Francesco non da’ ‘ricette preconfezionate’ perché, spiega, sarà compito del Sinodo trovare le risposte. Soltanto, esorta i giovani: «Siate giovani in cammino, che guardano gli orizzonti, non lo specchio. Sempre guardando avanti, in cammino, e non seduti sul divano». Parla di coerenza e afferma che capisce quanto la mancanza di coerenza faccia male ai giovani come una Chiesa che predica le Beatitudini e poi percorre la via della mondanità. E poi aggiunge: «Ma anche voi, voi, dovete essere coerenti nella vostra strada».