Ascoltare le vittime di Hiroshima prima che sia troppo tardi
Quest’anno 2024 il Nobel per la pace è andato all’organizzazione giapponese Nihon Hidankyo, una delle realtà che rappresenta i sopravvissuti alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, noti anche come Hibakusha. Come è scritto nella motivazione «In questo momento della storia umana, vale la pena ricordare a noi stessi quali sono le armi nucleari: le armi più distruttive che il mondo abbia mai visto».
Un tabù infranto davanti al fatto che le potenze in possesso di tali armi «stanno modernizzando e aggiornando i loro arsenali; nuovi Paesi sembrano prepararsi ad acquisire armi nucleari; e crescono le minacce per utilizzare armi nucleari nelle guerre in corso».
Le armi nucleari rappresentano il punto di svolta dell’umanità perché dalla loro ideazione e utilizzo nel 1945 su due città giapponesi da parte degli alleati angloamericani siamo entrati nell’era della possibile autodistruzione dell’umanità, il “crinale apocalittico della storia” citato più volte da Giorgio La Pira fino alla fine dei suoi giorni, per indicare il fatto che la comunità mondiale è posta davanti al bivio della sua scomparsa o della sua rifioritura. Altra alternativa non esiste, diceva con realismo il sindaco di Firenze che immaginava l’Italia come perno di una politica di pace nel lago di Tiberiade, come definiva il Mar Mediterraneo quale ponte tra l’Europa, l’Africa e l’Asia.
Di fatto il nostro Paese è una piattaforma logistica della guerra, piena di basi militari, tra cui quelle di Aviano e Ghedi dove si trovano decine di bombe nucleari statunitensi predisposte per essere usate in caso di scontro estremo con la Russia e i suoi alleati.
Anche se è ormai diffusa l’idea di una distinzione tra bombe tattiche, con effetti meno devastanti di quelle strategiche, esistono simulazioni realistiche come quella definita Plan A dell’università di Princeton negli Usa, che prevede sul territorio europeo la morte di 90 milioni di persone in poche ore. Una prospettiva che giustamente provoca un senso di rimozione di fronte all’abisso dal quale non ci si può difendere.
Un pericolo sempre più immediato ma rimosso
Un grande movimento contro le armi nucleari portò in piazza, nel secondo dopoguerra, una moltitudine di persone che firmarono nel 1950 un appello per la messa al bando delle armi nucleari che raccolse 519 milioni di firme nel mondo, di cui oltre 16 milioni e mezzo in Italia (firmò anche l’amministratore delegato della Fiat Valletta, per avere un’idea).
La situazione paradossale odierna è segnata dalla falsa idea della mancanza del pericolo dopo la crisi sventata nel 1962 con il ritiro dei missili russi a Cuba che avvenne contemporaneamente con quelli statunitensi presenti in Turchia e le rampe di lancio predisposte nel nostro Sud, tra le gravine delle Puglie.
Il rischio di u
n conflitto nucleare oggi è sempre più alto, come avvisano di scienziati atomici americani con lo strumento che misura in ore e minuti l’avvicinamento delle lancette del cosiddetto Orologio dell’Apocalisse, cioè di uno strumento che misura l’avvicinarsi della possibile fine del mondo.
Negli ultimi anni si registra un forte aumento degli arsenali nucleari, con un numero crescente di Paesi che vogliono far parte del club ristretto. Il tutto a pochi anni dal discorso di Obama a Praga nel 2009 sulla prospettiva di un mondo senza atomiche, fino al suo viaggio a Hiroshima nel 2016 con l’abbraccio ad uno dei sopravvissuti di quella tragedia salutata, al tempo, da Churchill come qualcosa di provvidenziale per aver permesso di finire la guerra.
La convinzione di una sicurezza assicurata dal terrore della mutua distruzione, e quindi alla deterrenza, non regge più davanti alla molteplicità dei possessori, alla possibilità della fallacia del controllo affidato a strumenti di intelligenza artificiale in grado di gestire in tempi rapidi una massa enorme di dati.
È sempre più improbabile l’intervento ponderato ed efficace di un essere umano come è avvenuto nel 1983, nel caso del tenente colonnello russo Stanislav Petrov che, nonostante le evidenze di un attacco di un missile supersonico evidenziato dai sistemi tecnici considerati infallibili, decise di non procedere al lancio del missile previsto come risposta immediata.
Nobel per la Pace 2017 e Trattato di messa al banddo delle armi nucleari
Grazie all’azione di parte della società civile internazionale e all’iniziativa di numerosi Paesi nel mondo, la conferenza generale dell’Onu ha approvato nel luglio 2017 il trattato di messa al bando delle armi nucleari. Trattato entrato in vigore nel 2021 con la 50ma ratifica del trattato, che l’Italia non ha votato in linea con la direttiva assunta dalla Nato.
Il Trattato impedisce esplicitamente agli Stati membri l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari.
Sembra poca cosa, ma l’applicazione di tale vincolo in Paesi che non hanno l’arma nucleare permette di ostacolare flussi di denaro, materie prime e merci legate alla produzione di tali armi.
La Santa Sede è una grande sostenitrice di tale trattato. Ha promosso in Vaticano il 10 novembre 2021 il convegno internazionale “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”. In quella occasione papa Francesco ha ribadito la condanna non solo dell’uso ma anche del possesso di tali armi.
L’indifferenza verso questa presa di posizione che non può restare a livello astratto si spiega con ciò che nel 1968 Thomas Merton aveva evidenziato in un testo circolato in forma clandestina, perché proibito dai suoi superiori, su La pace nell’era post cristiana, cioè nell’età attuale in cui dietro la forma ancora imperante, la società si affida non più a Dio ma all’idolo della macchina, della bomba atomica come fonte di salvezza. La fede nella protezione assicurata dalla paura della mutua autodistruzione spiegava anche la mancata forte condanna, tranne poche eccezioni, dell’uso della bomba su due città del Giappone.
La visione di Thomas Merton
Nella sua visita negli Usa nel 2015, Francesco indicò come figure esemplari da seguire, assieme a Lincoln e Martin Luther King, questo inquieto monaco trappista, noto per la sua aperta opposizione alla guerra in Vietnam, assieme all’irregolare Dorothy Day, fondatrice del movimento del Catholic Worker, che fu arrestata più volte nella sua vita per l’opposizione alla guerra e al riarmo (così come il gesuita Daniel Berrigan morto ad aprile del 2024).
Da queste premesse nasce l’iniziativa promossa dal 25 aprile e al 2 giugno 2021, due date cardine della nostra storia, per promuovere l’Appello Per una Repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari, con l’intensione di sollecitare il mondo ecclesiale nel sostegno pubblico e convinto alla campagna “Italia ripensaci” che chiede l’adesione dell’Italia al trattato Onu del 2017. Iniziativa di Rete italiana pace disarmo che è il referente della campagna internazionale Ican che nel 2017 ha ricevuto il premio Nobel per la pace.
L’appello “Per una Repubblica libera dalle armi nucleari” è stato promosso originariamente da Pax Christi, Acli, Azione Cattolica, Apg23 e Focolari Italia rispondendo ad una forte istanza formulata dallo scrittore Anselmo Palini con riferimento alla netta presa di posizione assunta da associazioni, movimenti e amministratori locali di Brescia e provincia, territorio dove si trovano alcune delle bombe nucleari pronte ad essere innestate dai caccia bombardieri F35.
La progressiva adesione all’appello di realtà grandi e piccole, comprese ad esempio l’Associazione delle teologhe e dei teologi italiani, è avvenuta sollecitando spazi di confronto e dialogo fino all’assemblea che si è svolta presso la sede nazionale dell’Azione Cattolica, il 26 febbraio 2022. Cioè 2 giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina che ci ha trascinato in una nuova fase, dove la minaccia dell’uso dell’arma nucleare è uscita dai circoli ristretti degli stati maggiori e dei centri studi per entrare tra gli scenari della progressiva espansione dell’area di conflitto.
L’Italia nel riarmo globale. Che fare?
La corsa al riarmo mondiale ha trovato l’Italia collocata tra i primi esportatori di armi grazie a politiche industriali di lungo termine, condivise bipartisan, delle società controllate dallo Stato, Leonardo su tutto.
Davanti al silenzio delle istituzioni verso la richiesta di un dibattito sulla messa al bando delle armi nucleari, il confronto delle realtà coinvolte nell’appello si è concentrato sul “che fare?”.
Oggetto di un momento di confronto promosso il 18 febbraio 2023 a Bologna con l’intervento del presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, che ha espresso sostegno all’iniziativa, che è andata avanti anche dopo che l’Italia ha deciso di non rispondere all’invito di partecipare come Paese osservatore all’incontro di Vienna del 2023 tra gli stati parte del trattato.
L’appello è stato rilanciato con una conferenza stampa alla Camera il primo giugno 2023, vigilia della festa della Repubblica, ma proprio il giorno precedente, il 31 maggio, il decreto cd Made in Italy del governo, tra l’altro, rimuoveva il divieto di esportazione di missili e bombe prodotte in Italia verso l’Arabia Saudita per l’attenuarsi del rischio del loro utilizzo sulla popolazione civile yemenita.
Tale divieto è stato il frutto di una mobilitazione per l’applicazione della legge 185 introdotta nel 1990 per impedire l’esportazione di armi verso Paesi coinvolti in conflitti estranei al perimetro dell’Onu e/o violatori dei diritti umani.
La legge 185/90, che rappresenta l’applicazione del principio costituzionale del ripudio della guerra, è stata approvata grazie all’impegno del mondo missionario, che ha fatto conoscere gli effetti di certa manifattura italiana nel mondo, e all’obiezione di coscienza di alcuni lavoratori alla produzione bellica.
Ora questa legge sta per essere svuotata di efficacia con una riforma che la Camera si appresta a varare in via definitiva entro questo anno.
Il quadro generale si è quindi ulteriormente aggravato davanti alla mancanza di una via di uscita dal conflitto bellico nel centro dell’Europa, con i vertici dell’Unione Europea che hanno promosso una trasformazione dell’economia in assetto di guerra, la tragedia in corso in Terra Santa con l’eccidio del 7 ottobre 2023 perpetrato da Hamas, il bombardamento senza tregua sulla Striscia di Gaza operata dal governo israeliano e il conflitto ormai esteso verso il Libano.
Che fare? Come incidere di fronte al sonnambulismo che apre le porte alla guerra dall’esito indicibile? Hanno ragione coloro che invocano il realismo politico e l’etica della responsabilità per giustificare il male necessario del riarmo per giungere ad una pace giusta?
Dottrina nucleare e democrazia
In un dibattito promosso il 13 maggio 2021 da Città Nuova assieme ad Archivio Disarmo con l’intervento dell’Unione degli scienziati per il disarmo atomico ed esperti militari come il generale Camporini, un alto funzionario del Direzione Generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli Esteri ha ribadito che l’Italia lavora per a pace e il disarmo congiunto, ma che non è possibile porre a tema l’adesione al Trattato del 2017 perché in contrasto con la “dottrina nucleare” dell’Alleanza Atlantica di cui facciamo parte. Teniamo conto che lo strumento strategico della Nato è stato approvato a Madrid del giugno 2022 senza che vi sia stata alcuna discussione pubblica in Italia.
“La via della pace non passa per le armi”, hanno scritto per la Pasqua 2024 in maniera congiunta le associazioni che hanno dato avvio al percorso per colmare il vuoto tra l’urgenza di Francesco e la realtà del cattolicesimo organizzato in Italia, che su questo piano sperimenta un’unità di intenti con la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia.
Riuscirà ad emergere un vero confronto-dibattito sulla guerra e lo strumento delle armi nucleari? Si intende “adesso”, prima del chiamata alle armi diretta ad un’opinione pubblica smarrita e impaurita. Il Nobel per la pace agli Hibakusha è un forte invito a non perdere tempo.
Per decenni coloro che hanno posto la questione del riarmo che attenta alla pace e al futuro dell’umanità, sono stati considerati con sospetto e indifferenza, come cultori di un interesse di nicchia. Ora il tempo si è fatto breve e non basta limitarsi a citare papa Francesco.
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