Ascoltare il quorum del Paese
Evento storico? Fine di un ciclo? Presto per dirlo. Meglio cogliere il significato dei risultati.
La soglia fatidica del 50 per cento più uno è stata superata. Quorum raggiunto con un buon margine di sicurezza (57 per cento in Italia, 54,8 con l’estero), i “sì” si attestato attorno a risultati (95 per cento) che rasentano l’unanimità. Prosegue la festa nelle sedi dei comitati dei promotori dei quattro quesiti sottoposti al parere degli elettori. Quello che i sostenitori dei referendum temevano era proprio il mancato raggiungimento del quorum. Il dato relativo all’affluenza alle urne domenica sera (41 per cento) faceva ben sperare ma non garantiva alcuna certezza.
Sono risultate perciò figlie dell’emotività certe dichiarazioni entusiaste e baldanzose di vittoria ancora a urne aperte, mentre sono suonate inopportune le parole di una figura istituzionale come il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che, sulla scorta di proiezioni compiute dagli esperti del suo dicastero, aveva dichiarato, a operazioni di voto in corso, che «il dato di domenica fa pensare che si raggiungerà il quorum per tutti e quattro i referendum, anche senza considerare il voto degli italiani all’estero». Un’esternazione che poteva scoraggiare gli incerti dall’esercizio del diritto di esprimersi al seggio.
Qualche commentatore, anche non particolarmente ostile alla maggioranza di governo, ha scomodato annate storiche per evidenziare l’importanza del voto referendario: 1974 divorzio, 1991 preferenza unica. Due date che hanno determinato una svolta nell’ethos pubblico e segnato indelebilmente la vita politica italiana. Si vedrà se davvero ricorderemo questo 2011 per la sua forza trasformante; di certo se ne vedono le avvisaglie.
Innanzitutto, il protagonismo di tanti cittadini: chi conosce Alberto Lucarelli, Ugo Mattei e Roberto Placido, dell’ufficio di presidenza del comitato che ha voluto e perseguito il referendum sull’acqua?
Cittadini pensanti, con progetti, ideali, passioni si sono appropriati della scena politica con la forza della partecipazione che parte dal basso. Hanno iniziato in sordina, senza clamore mediatico, ricorrendo al passaparola e al tamtam capillare e diffuso che Internet consente, e ce li ritroviamo oggi intervistati nei talk-show e ascoltiamo storie che all’improvviso ci appaiono in tutto il loro valore civico. Un milione e quattrocentomila firme raccolte per presentare i quesiti sull’acqua, ad esempio, sono un atto di eroismo civico diffuso, che ha visto come forza trainante anche tanto associazionismo cattolico.
Un movimento che dal basso ha provocato l’onda che ha coinvolto anche i partiti, rimasti fino al voto amministrativo scettici a guardare dall’alto. L’unico leader politico nazionale che ha perseguito la strada referendaria dall’inizio alla fine è stato Antonio Di Pietro, incapace di tollerare una legge come quella sul “legittimo impedimento”.
I due partiti di maggioranza hanno lì per lì mostrato di cogliere l’elemento di novità che avanzava, rinunciando a fare battaglie in difesa delle leggi sottoposte a referendum. Certo, visti dalla prospettiva dei partiti di governo, e specialmente dal Pdl, il voto referendario è frutto di un grande fraintendimento: l’acqua è e sarebbe restata pubblica, il nucleare superato dal decreto-legge omnibus, il legittimo impedimento già depotenziato dalla Corte costituzionale.
Da qui la dichiarazione dei due leader Berlusconi e Bossi che non sarebbero andati a votare. Per i cittadini però il valore di questa chiamata alle urne non si è fermato all’effetto giuridico, è stato ben più profondo. Il dato relativo all’affluenza dice anche una capacità e una volontà di documentarsi, di capire, che ha superato anche le barriere televisive. Tra le tante novità cui pone davanti questa esperienza elettorale vi è quella, davvero inedita, di una scelta consapevole, maturata quasi esclusivamente al di fuori del circuito informativo televisivo. Hanno funzionato le reti amicali e quelle dei social network, le email, i messaggini e i link che mostravano video sul tema.
Non è facile ora fare pronostici. Un’unica certezza: il presidente Berlusconi non si dimetterà. Ma è davvero difficile per il governo andare avanti. La Lega, dopo questo ulteriore segnale di disagio del proprio elettorato, esige un cambio di passo per andare avanti. La riforma fiscale e la fine della guerra in Libia per far cessare gli sbarchi sono i due provvedimenti che dovrebbero segnare la svolta.
Ma nessuno dei due può essere realisticamente perseguito. Il primo, per i costi che comporta e che non possono essere affrontati ricorrendo ad altro debito; il secondo, perché l’Italia non è sola a prendere una decisione sulla Libia. Si attende quindi il prossimo raduno a Pontida, da dove giungerà qualche indicazione.
Il pensiero allora corre alla possibile alternativa, che appare tutta da costruire. Dalle amministrative e dai referendum proviene un ammonimento: il timone delle operazioni è dei cittadini, che non accettano più decisioni verticistiche e verticali. La partecipazione orizzontale e anti-oligarghica è il vero “vento” che si è sollevato e mettersi in ascolto di ciò che proviene da queste elezioni è il primo atto politico che i partiti devono compiere. A cominciare dalla scala dei valori, molto precisa, che ne emerge: i beni comuni devono restare tali, l’energia va prodotta in modo diffuso e rinnovabile, rivedendo gli stili di vita, la legalità e l’uguaglianza davanti alla legge non possono soffrire eccezioni. Elementi sui quali può costruirsi un programma e destinati alla stessa maniera al centrodestra e al centrosinistra, come risultato della convergenza sui quesiti di elettori di entrambi gli schieramenti.