As wee see it, uno sguardo sull’autismo

As wee see it è una serie tv su Prime Video che entra con delicata decisione nel campo variegato dell'autismo, offrendone un ritratto sostanzialmente credibile anche se tende a semplificare, ad ammorbidire un tema vasto e sfuggente. Un lavoro comunque interessante che riprende una serie originale israeliana
Autismo foto Amazon prime video

C’è una serie – disponibile dal 21 gennaio scorso su Prime Video – interamente dedicata al tema dell’autismo. È americana, si intitola As wee see it, è composta da 8 episodi di circa mezz’ora l’uno e racconta la storia di tre giovani intorno ai 25 anni, tutti e tre nello spettro dell’autismo. Anche se tutti e tre, chi più chi meno, in quello che si definisce “alto funzionamento”.

Sono due maschi – Jack ed Harrison – e una fanciulla, Violet. Vivono insieme nello stesso appartamento, e a seguirli passo passo, nel loro (per nulla semplice) procedere verso un grado maggiore di autonomia, c’è una ragazza di nome di Mandy. Che è brava, anche se è giovane, anche se vorrebbe studiare per diventare un medico. Più passa il tempo, però, più si lega ai suoi ragazzi e finisce anche per mollare un fidanzato a cui teneva.

Più sta con loro, più si avvicina alla loro verità, più si rende conto che la cosa davvero importante, per lei, è comprenderli: entrare nel mondo e nelle fragilità di Jack, Harrison e Violet; riuscire a comunicare il più possibile con loro. Certamente lavora tanto sull’autonomia, Mandy, con questi tre giovani tutti capaci di verbalizzare le proprie emozioni e difficoltà, di svolgere diverse attività del quotidiano e di avere un rapporto piuttosto consapevole coi sentimenti.

Due su tre lavorano, anche se Violet il posto lo perde perchè non sa gestire le emozioni e le vicissitudini del suo privato nell’ambiente di lavoro. È diretta, “troppo” vera: un libro spalancato. Tutti e tre si innamorano di qualcuno: Jack dell’infermiera che cura suo padre malato di cancro (ha una storia con lei); Harrison della stessa Mandy e Violet, che desidera ossessivamente tuffarsi nell’amore, che vorrebbe tanto avere una storia, finisce per vivere una relazione con un belloccio egoista che il giorno dopo la molla dicendole che è stato bello.

Per Violet è un trauma, così come per suo fratello che vorrebbe evitarle sofferenze e delusioni cocenti, conoscendo bene la fragilità e l’esposizione al pericolo della sorella. Cerca di proteggerla ma al tempo stesso è cosciente che non è tenendola in una campana di vetro che si risolve il problema. Questo racconta il suo personaggio in conflitto, insieme alle intelligenti riflessioni di Mandy, e sta in queste sfumature, in certi dialoghi chiari, in situazioni realistiche versate in un tono sobriamente drammatico, ma impregnato di momenti luminosi, il buono di As wee see it: remake di una serie originale israeliana creato da Jason Katims (l’autore di Parenthood, che nella vita ha un figlio con la sindrome di Asperger).

As wee see it entra con delicata decisione nel campo variegato e complesso dell’autismo, offrendone un ritratto sostanzialmente credibile, rispettoso, denso, ma anche parziale.

Perché se da una parte è ben sviluppato e continuo il rapporto, per chi vive nello spettro dell’autismo, tra bisogni normali e una difficoltà non normale per raggiungerli, e se nella serie viene sottolineata l’importanza di aiutare chi vive questa condizione ad avvicinarsi il più possibile a una vita autentica, è anche vero che, come spesso capita nelle serie sull’autismo (da Atypical e The good doctor, per esempio), si tende a offrire un profilo unico della materia, lavorando soprattutto sull’alto funzionamento e lasciando nell’ombra le persone che vivono lo spettro dell’autismo con difficoltà (assai) maggiori. Ed è un numero molto alto.

As wee see it, con i suoi diversi pregi, con sequenze qua e là utili – c’è una riflessione toccante del padre di Jack verso la conclusione – e un generale rispetto per l’argomento, tende comunque a semplificare, ad ammorbidire l’articolato, stratificato, vasto e sfuggente tema dell’autismo, per la scelta, appunto, di costruire un racconto parziale, un reportage relativo. Lo fa, però, con un’attenzione e un equilibrio che la rendono un’interessante visione.

 

 

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