AS Film Festival, una manifestazione artistica (neuro)diversa
Si chiama AS Film Festival ed «è un festival di cinema, in particolare cinema breve, che ha la particolarità di essere organizzato da uno staff neurodiverso, composto cioè da persone neurotipiche e persone neurodivergenti», spiega ancora Cacace, col quale abbiamo voluto scambiare due parole per farci raccontare più nel dettaglio questa esperienza simile ad altre sul cinema ma con spiccate differenze.
Se da una parte la manifestazione «è strutturata come un qualunque festival, con un bando di concorso, le selezioni, i cortometraggi organizzati in sezioni, le giurie, i premi e gli ospiti», è invece «(neuro)diverso il punto di vista di chi ci lavora, e ciò permette a chi lo organizza di partecipare attivamente alla vita sociale, di uscire dalla propria comfort zone e confrontarsi con la collettività. Molte persone autistiche – continua il direttore – tendono all’autoisolamento perché può essere molto difficile, per loro, muoversi in una realtà interamente concepita per neurotipici. Da questo punto di vista, ASFF ha sicuramente aiutato molte persone dello staff a relazionarsi con questo mondo, e pensiamo possa aiutare molte altre persone neurodivergenti a fare altrettanto».
Come è nata questa avventura?
Bisogna tornare ai tempi in cui co-gestivo il cineclub Detour, a Roma. Da alcuni anni, accanto alla programmazione serale, i pomeriggi erano dedicati alle proiezioni per i giovani utenti di una cooperativa sociale: ragazzi con disabilità diverse che avevano bisogno di un contesto protetto in cui assistere alle proiezioni. Si sparse la voce e fui raggiunto dai genitori dell’associazione Gruppo Asperger Lazio che mi chiesero di organizzare proiezioni per i loro figli. Mi si aprì un mondo! Era il 2008, e nell’immaginario comune, la persona con autismo era ancora come il personaggio interpretato da Dustin Hoffmann in Rain Man. Io stesso non avevo idea che esistessero forme di autismo così diverse. I ragazzi che iniziarono a frequentare il cineclub erano diversissimi dal Charlie Babbit di Rain Man: non avevano compromissioni significative della sfera cognitiva. Erano ben presenti a loro stessi. I problemi erano relazionali, i ragazzi avevano difficoltà nella socializzazione, nel comprendere alcune dinamiche sociali. E quindi avevano avuto importanti problemi nel relazionarsi con i coetanei a scuola. Sapevano cosa fosse la solitudine. Nel giro di pochi appuntamenti si formarono amicizie, affetti e soprattutto i ragazzi iniziarono a collaborare con il cineclub.
E dà lì cosa accadde?
Si pensò a una rassegna tutta loro, aperta al pubblico. E che rassegna: Cinema Noir Americano anni ’50 e ’60. Gli stessi partecipanti al progetto videodocumentarono queste attività e ne venne fuori un documentario: Lo sguardo degli Aspie. Ci chiesero di presentarlo a Torino nel corso della rassegna Cinemautismo. Fu lì che decidemmo di mettere in piedi un nostro festival.
Oggi siamo a 11 edizioni.
Il festival negli anni ha raggiunto una struttura più o meno definita: tre sezioni competitive dedicate ai cortometraggi italiani, internazionali e d’animazione. Una vetrina tematica dedicata alla neurodivergenza. Accanto a queste sezioni, ogni anno diamo visibilità a lungometraggi meritevoli, che però in sala non hanno avuto la giusta visibilità. Film che in qualche modo raccontano storie in linea con il nostro festival.
Alcuni titoli di quest’anno?
Quest’anno abbiamo scelto Calcinculo di Chiara Bellosi o La timidezza delle Chiome di Valentina Bertani: due film che parlano della difficoltà di abbandonare l’adolescenza ed entrare nell’età adulta, dell’accettazione di se e dei propri limiti, della difficoltà di affrontare il mondo senza conformarsi.
Quali altre novità e sorprese ci sono?
Quest’anno abbiamo deciso di affidare il film di chiusura a Pietro Sermonti, e lui, senza saperlo, ha scelto un film perfettamente in linea con gli altri due: Harold e Maude, un vero e proprio manifesto della diversità e del diritto a non conformarsi. Infine, accanto ai corti e alle proiezioni speciali, c’è il nostro fiore all’occhiello, il momento forse più libero della manifestazione.
Ovvero?
42HRS: il nostro contest per troupe di videomaker. 11 troupe in gara per realizzare un cortometraggio in appena 42ore.
Ci sono momenti, episodi, accadimenti che ricordi con particolare emozione di questi undici anni?
Gli episodi significativi sono tanti, ma quello che mi piace sottolineare, e che ogni anno colpisce tutti – ospiti, pubblico, videomaker partecipanti al 42HRS – è l’atmosfera del festival: non solo si avverte l’autentico amore per il cinema, un rispetto per il mezzo che ha permesso a molti ragazzi dello staff di uscire dal proprio isolamento, ma si percepisce che chi organizza ASFF lo fa per un’urgenza, per contribuire a diffondere una cultura della neurodiversità, per scardinare la percezione che la collettività ha dell’autismo, e contribuire a costruire una società davvero equa e inclusiva, dove a tutti sia garantita l’acquisizione delle competenze di cittadinanza.
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