Arturo Paoli, un profeta dalla periferia

È morto nella sua pieve di Lucca a 103 anni, il religioso dei Piccoli fratelli di Charles De Foucauld che ha fatto del Vangelo la sua arma. Un uomo scomodo che papa Francesco ha voluto conoscere e riconoscere per la sua fedeltà
Arturo Paoli

Ieri alla età di 103 anni, sazio di giorni, è morto Arturo Paoli. L’ho visto l’ultima volta ai primi di luglio. Andavo da lui ogni quindici giorni. L’ultima volta gli ho raccontato dell’udienza che il papa mi aveva concesso, del palazzo apostolico e del sorriso accogliente e senza ombre di Francesco.

 

Il suo volto diventava luminoso quando ti vedeva. Luminoso e gioioso. Dio gli aveva donato per i suoi ultimi giorni il tempo della trasfigurazione, che nasce dalla preghiera costante e perseverante e dal servizio affettuoso di chi cura la casa in cui vivi.

 

Qualche volta capitava di arrivare nel momento del rosario, che egli ascoltava alla televisione dalla grotta della madonna di Lourdes. La voce narrante lo aiutava e non perdere il filo delle parole e la sua preghiera si faceva più intensa: davvero la preghiera dei poveri di Dio.

 

Si alzava presto al mattino, intorno alle quattro e iniziava un tempo lungo di preghiera fin verso le 6.30, perché il mistero della vita di Arturo ha la sua fonte nella preghiera, nell’incontro semplice e diretto con il Signore.

 

Tutte le sue riflessioni, i suoi scritti, i suoi articolo non nascono dalla sua cultura, pure ampia e profonda, ma dalla preghiera e dalla fede; da questo ritmo quotidiano instancabile che rendeva visibile il primato di Dio sui suoi giorni e sulla sua vita.

 

Quando è tornato a Lucca negli anni ‘80 a concludere il suo percorso culturale e apostolico, ha ritrovato la sua chiesa che lo ha accolto e la piccola pieve, dove abitava e celebrava, è diventata progressivamente un centro spirituale, dove molti venivano credenti e non credenti, poveri e ricchi, affaticati e dubbiosi. La porta era aperta per entrare ed uscire, per essere ascoltati e per ricevere consiglio.

 

Io ho cominciato tardi a frequentare questa piccola pieve, raramente nella celebrazione domenicale, più facilmente nei giorni feriali, anche perché spesso con una fondazione, si promuovevano incontri su temi decisivi e delicati della cultura del nostro tempo e Arturo interveniva spesso in prima persona, insieme ad amici che venivano da tutta Italia.

 

Arturo aveva subito colto che questa mia presenza non assidua, nasceva da una mia distanza spirituale e con affetto non ha mai mancato di rimarcarlo. Aveva ragione. Avevo maturato la mia fede e il mio impegno cristiano, assieme alle mie riserve in un contesto assai diverso. Poi tutto si è sciolto in un’amicizia sempre più intensa. Non si scordava mai di chiedere di mia figlia e poneva come esempio la mia vita di solitudine. Presentò due anni fa il mio libro a Lucca, in una giornata memorabile, in cui parlò della fede e della mia esperienza cristiana, con parole che custodisco per sempre nel mio cuore.

 

E poi il suo incontro con papa Francesco. Quando lo ricordava gli occhi di Arturo si illuminavano. Arturo, cacciato da Roma agli inizi degli anni ‘50, tornava per essere abbracciato e festeggiato dal papa. Non credo abbia mai rivelato i contenuti di quel colloquio, ma l’evento più autentico era che quel colloquio era avvenuto e che le periferie erano tornate al centro. La chiesa in uscita accoglieva e riconosceva i suoi profeti.

 

Davvero Arturo è stato come la pietra scartata dai costruttori, che è diventata testata di angolo. Ecco la saldezza e la forza della fede di Arturo, che oggi sale in paradiso e ci consegna un patrimonio spirituale a cui attingere senza riserve.

 

Nel suo morire egli ancora continua a indicarci la strada guardando alla radicalità della sequela cristiana e non ai piccoli traffici ecclesiastici, ai nostri programmi organizzativi, alle nostre gambe infiacchite.La sua vita lunga ci consegna la saldezza della sua fede: ecco la pietra preziosa che egli ci dona per continuare il cammino dentro e oltre la sua dipartita.

 

Certo quando il padre muore si vive sempre e inevitabilmente un senso di orfanezza, ma al tempo stesso siamo anche chiamati a cercare in modo incessante il volto di Dio, quel volto che abbiamo incontrato e amato nel volto luminoso di fratel Arturo, davvero fratello per tutti a misura della fraternità di Gesù.

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